SHARENTING: COSA SUCCEDE QUANDO IL FIGLIO NON È D’ACCORDO E I GENITORI SONO SEPARATI?

La legge sul diritto d’autore (art. 96 L. n. 633/1941), nata prima dell’avvento di Internet ma sempre applicabile, prevede senza distinzione tra minorenni e maggiorenni, che “il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa”. L’articolo 2 della nostra Costituzione protegge il diritto al proprio ritratto, come ogni elemento distintivo personale. Una foto o un video, realizzati con un comune smartphone, hanno lo stesso valore di un ritratto quando rendono riconoscibile l’immagine e l’identità della persona ritratta nello scatto fotografico o nel filmato. Ancor prima di venire al mondo, migliaia di ecografie vengono pubblicate sui social. I bambini sono diventati i protagonisti delle stories, video, post sugli account Instagram e Facebook dei loro genitori, che li immortalano in momenti intimi come andare a scuola, giocare, fare il bagnetto o la colazione. Questa è ormai prassi quotidiana, ma non dovrebbe essere così, innanzitutto per la sicurezza dei minori.

Il codice civile permette di difendersi con l’inibitoria all’uso della nostra immagine, con la richiesta di risarcimento del danno e con i rimedi previsti dalla legge sulla privacy. I primi ad autorizzare la pubblicazione di qualsiasi foto che li riguardi devono essere la madre e il padre. Trattandosi di un diritto fondamentale ciascun genitore può inibire all’altro la pubblicazione delle foto dei figli secondo l’articolo 709 del Codice di procedura penale e l’articolo 614 del Codice di procedura civile. Se l’altro vìola questa richiesta si può chiedere l’intervento del giudice per la rimozione delle foto e il risarcimento del danno. Ma la situazione cambia se i genitori sono separati o divorziati. Negli accordi di separazione e di divorzio vengono inserite anche clausole che regolano la possibilità di pubblicare le foto sui social.

Tuttavia, questo problema può vedere non solo un genitore contro l’altro, ma anche i figli stessi in disaccordo. All’estero si sono già registrati casi di figli che hanno portano i genitori in tribunale perché contrari al fatto di vedere, o aver visto, la propria vita condivisa in rete. Il compito dei genitori è prima di tutto preservare l’incolumità dei propri figli.

Soprattutto nelle coppie separate può succedere che un genitore pubblichi sui social network le foto dei figli, all’insaputa dell’altro, senza avere ottenuto il suo consenso o anche facendolo nonostante il suo dissenso. Pubblicare sui social network le immagini dei propri figli richiede il comune accordo, ma nel caso di coppie separate spesso manca ed è difficile da acquisire, a causa della distanza di carattere fisico e affettivo. Nei casi di disaccordo, l’autorità giudiziaria deciderà secondo gli interessi del minore e non quello dei suoi genitori. Il giudice potrà disporre, anche in via d’urgenza se il genitore interessato ha promosso ricorso in questo senso (art. 700 c.p.c.), la cancellazione delle immagini pubblicate senza il consenso di uno dei due genitori, il risarcimento dei danni e l’applicazione di una speciale sanzione pecuniaria che viene stabilita in base al numero delle foto pubblicate e al periodo della loro diffusione (art. 614 bis c.p.c.).

Se c’è un regime di affidamento condiviso neppure il genitore con il quale il figlio abita può decidere in modo autonomo. L’unica eccezione vi è nel caso di affido esclusivo del minore, dove il genitore affidatario può agire senza interpellare l’altro.

Un caso relativo all’argomento in questione, è stato giudicato dal Tribunale di Trani (Trib. Trani, ord. 30/08/2021 n. RG 3445/2021). Una madre separata aveva pubblicato alcuni video della figlia di 9 anni su Tik Tok. Il giudice ne ha disposto la rimozione d’urgenza e ha condannato la madre a pagare 50 euro per ogni giorno di avvenuta violazione e di ritardo nell’esecuzione del provvedimento giudiziario, con la richiesta che il denaro dovrà essere versato su un conto corrente intestato alla minore.

Il Collegio, rifacendosi a precedenti pronunce analoghe (Trib. Mantova, ord. del 19/09/2017), ha rilevato che “l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi, in quanto determina la diffusione delle immagini tra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo aver visto le loro foto online”.

La normativa europea lascia un ampio margine di applicabilità e, in Italia, il limite di legge (art. 2 quinquies D.Lgs. n. 101/2018) per manifestare il consenso in modo autonomo è fissato al compimento dei 14 anni di età. Gli infraquattordicenni devono sempre ottenere il consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale per potere compiere, sui social network o su siti Internet, qualsiasi tipo di pubblicazione di foto e video, dai quali si possano dedurre le informazioni personali del minore. Il ragazzo che ha compiuto 14 anni può condividere le sue immagini sui social, dopo avere espresso, al momento di apertura del suo account, il consenso al trattamento delle informazioni personali sulla piattaforma (come Facebook, Instagram, Tik Tok, eccetera) mentre al di sotto di quell’età ogni pubblicazione di contenuti multimediali che ritraggono il minore è subordinata al consenso dei suoi genitori.

Quindi solo a partire dai 14 anni, il minore può prestare il consenso digitale e decidere se e quando pubblicare delle sue foto su Internet senza dovere chiedere il consenso dei genitori (Art. 2-quinquies, comma 2, Codice della privacy come adeguato da d.lgs. n. 101/ 2018). Questo implica che anche i terzi possono pubblicare foto di un minore con almeno 14 anni, chiedendo il consenso al diretto interessato e non al padre e alla madre.

Il consenso preventivo alla pubblicazione (sia con i tradizionali mezzi di stampa che Internet), che comporta la diffusione pubblica dell’immagine, deve esserci in ogni circostanza, tranne quando “la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o colturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico” (art. 97 L. n. 633/194).