La parola appartiene al vocabolario degli utenti social, è tanto utilizzata da avere delle sigle che l’abbreviano (Bmk e Bm) ed essere descritta su Wikipedia come un termine usato nel gergo di Internet.
Secondo l’enciclopedia online, “il bimbominkia” è un utente di scarsa cultura e capacità linguistica. Una persona (più spesso un adolescente) dal carattere infantile, autoreferenziale, arrogante, eccessivamente attaccata alla tecnologia e all’uso dei social.
Con la sentenza n.12826 la Cassazione stabilisce che l’uso di tale epiteto non possa essere rivendicato in nome del diritto di critica, perché va oltre la continenza richiesta per ottenere questa discriminante. “Bimbominkia” è, infatti, una vera e propria offesa perché definisce la persona alla quale è rivolta come un soggetto con quoziente intellettivo sotto la media. Una diffamazione (ovvero un’offesa, in assenza del diffamato, dell’altrui reputazione davanti a più persone) che diventa aggravata quando l’epiteto viene usato sui social network. Il caso che ha portato a questa sentenza vede infatti un soggetto apostrofato come “bimbominkia” all’interno di un gruppo Facebook che conta 2297 iscritti.
L’intervento della Suprema Corte di Cassazione ribadisce come l’affermazione delle proprie ragioni non possa passare per gli insulti e la pubblica piazza del web, nella convinzione che sia necessario rendere i social networks un ambiente più rispettoso dell’onore e del decoro di tutti.