Nonostante non ci sia ancora una definizione chiara di AGI, l’obiettivo sembra essere quello di realizzare una forma di intelligenza non umana che eguali o addirittura superi quella umana. In questa direzione, si sta verificando un vero e proprio “AI boom”. Infatti, è stato rilevato che dal 2023 le spese dirette a strumenti specifici sia aumentata notevolmente. Questo rende sempre più prossima la possibilità di raggiungere la cosiddetta “superintelligenza”.
Ma quanto siamo vicini alla AGI? Il CEO di DeepMind, Demis Hassabis, ritiene che occorrano ancora tra 5 a 10 anni per raggiungere un’intelligenza pari o superiore a quella umana. Non altrettanto ottimista è Jeff Hinton, considerato il “padrino” dell’AI, che sottolinea l’imminenza di scenari preoccupanti e pericolosi per l’umanità.
Si parla di una vera e propria scissione tra coloro che credono e sperano utopicamente nell’Intelligenza Artificiale e coloro che fanno trapelare uno scenario più pessimista e distopico. La preoccupazione di base è che si possa verificare quanto accaduto durante la crisi della dot.com.
Dunque, nonostante gli analisti prevedano investimenti triplicati da parte dei principali attori della Silicon Valley, i rischi e i limiti dello sviluppo senza limiti sembrano essere dietro l’angolo. Tra i fattori di preoccupazione abbiamo potenziali distribuzioni asimmetriche degli aumenti di produttività. Questo può sfociare anche nello sfruttamento di una manodopera “deskilled” e “disempowered”: questa se da una parte permette l’istituzione di chatbot a costi minimi, dall’altra è del tutto priva di competenze tecniche.
A questo punto, la vera sfida è di sviluppare un’Intelligenza Artificiale che vada di pari passo con il lavoro umano, senza che lo sostituisca ma che lo implementi. Questo è realizzabile partendo da un generale riequilibrio del rapporto tra capitale e lavoro.
L.V.