DIFFAMAZIONE AGGRAVATA SUI SOCIAL ANCHE SENZA FARE NOMI

Farà discutere una recente pronuncia della Corte di Cassazione. Con la sentenza numero 10762 del 25 marzo 2022, la Suprema Corte ha affermato un importante principio: il reato di diffamazione aggravata a mezzo Facebook è integrato anche se non si indica nome e cognome del destinatario delle offese. Ciò che è necessario pertanto è che la persona offesa sia identificabile attraverso l’indicazione di elementi personali o temporali. A puro titolo esemplificativo, post denigratori che fanno riferimento a caratteristiche quali colore della pelle, altezza, peso o ad elementi riconducibili senza dubbio ad un soggetto determinato, possono integrare il reato di diffamazione aggravata.

Nel caso di specie, due amiche sono state condannate in concorso per aver pubblicato sul profilo di una delle due dei post diffamatori rivolti ad una persona, a cui è stato riconosciuto il risarcimento del danno. Avendo le due imputate proposto ricorso in Cassazione (rilevando erronea applicazione della legge, stante la non individualità del soggetto leso) quest’ultima ha ritenuto infondato questo motivo del ricorso, a causa dell’indiscutibile contenuto diffamatorio del post, affermando che è stato sufficiente far riferimento alla professione della persona offesa (“spazzina”) e al suo “nanismo” per consentire a soggetti terzi di capire a chi fossero rivolti i post offensivi. Secondo la Suprema Corte la pubblicazione di frasi offensive su una piattaforma social è “potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone” se rivolto nei confronti di un soggetto individuato o individuabile, senza che osti “l’assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, qualora lo stesso sia individuabile, sia pure da parte di un numero limitato di persone, attraverso elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali”.

“Si tratta di un’importante pronuncia della Cassazione che sta iniziando a prendere sul serio il problema dei reati commessi a mezzo web o social – ha commentato il presidente Codacons Marco Maria Donzelli – è un problema molto diffuso che può colpire chiunque”. In conclusione, nonostante molti pensino ancora che, non citando direttamente il nome dell’interessato, si stia mantenendo l’anonimato della persona, è da tener ben presente che il Gdpr tutela in modo efficace la privacy delle persone, in quanto l’art.4 del Regolamento UE 2016/679 specifica che costituisce un dato personale non solo qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o direttamente identificabile, ma che possa essere individuabile anche in modo indiretto con particolare riferimento “a un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale”.

Matteo Cotellessa –

Giornalista Mediaset e Cultore di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano con il Prof. Ruben Razzante, fondatore del nostro portale