GIUSTIZIA O SPETTACOLO? QUANDO L’AVVOCATO VA IN SCENA SUI SOCIAL

Instagram, TikTok, podcast: oggi anche il diritto si racconta online. Sempre più avvocati utilizzano i social per spiegare sentenze, commentare casi o mostrare il dietro le quinte della professione. Ma la libertà comunicativa si scontra con i limiti imposti dal codice deontologico. E la linea che separa la divulgazione dall’autopromozione è tanto sottile quanto instabile.

Lo dimostra il recente caso che ha coinvolto Angela Taccia, legale di Andrea Sempio, figura emersa nel riaperto caso Garlasco. L’Ordine degli Avvocati di Milano l’ha formalmente richiamata per alcune Instagram stories pubblicate durante il processo, considerate lesive del decoro professionale. Frasi come “guerra dura senza paura” o “Codice penale ti amiamo” hanno sollevato perplessità sull’opportunità di certi toni, soprattutto in una vicenda giudiziaria complessa e delicata.

Il richiamo non ha riguardato l’uso dei social in sé, ma il linguaggio e lo stile comunicativo adottati, ritenuti non compatibili con il ruolo dell’avvocato, in violazione dell’articolo 9 del Codice deontologico forense. Comunicare è lecito, ma va fatto nel rispetto della sobrietà e della dignità della professione.

Secondo il Codice, l’informazione deve essere veritiera, non ingannevole, non elogiativa o denigratoria (art. 35-37). Ma chi stabilisce se un contenuto supera la soglia dell’ammissibile? Oggi, tutto è affidato alla valutazione dei Consigli di disciplina, caso per caso. Non esiste una giurisprudenza deontologica univoca sul linguaggio digitale.

Eppure, in molti casi, la comunicazione legale è utile, persino necessaria. Ci sono avvocati che fanno divulgazione di qualità, rendendo accessibili concetti complessi e contribuendo alla formazione di una cittadinanza più consapevole. Ma anche in questi casi, se i contenuti sono pensati per generare consenso o attrarre clienti, il rischio di scivolare nell’autopromozione è dietro l’angolo.

Oggi la professione forense deve conciliare le regole di un codice pensato per tempi analogici con le dinamiche comunicative dell’era digitale. Serve un intervento chiaro da parte del Consiglio Nazionale Forense: linee guida aggiornate che indichino ai professionisti come comunicare senza snaturare la propria funzione.

Si può essere avvocati anche su Instagram? Sì, ma con più giudizio di chiunque altro. Perché nei social non conta solo cosa si dice, ma come lo si dice. E la toga, a differenza dei filtri, non perdona leggerezze.

 

A.C.


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