L’AI DIVIDE L’EUROPA

Con il programma Digital Decade 2030, l’Unione Europea definisce come obiettivo primario l’adozione da parte del 75% delle imprese di servizi cloud, big data o AI entro quella data.

A tal proposito, è fondamentale uno studio pubblicato su Telecommunications Policy: per la prima volta, è stata proposta una panoramica regionale sull’impiego dell’Intelligenza Artificiale. Questa ricerca è doppiamente importante: identifica le differenze non solo tra i paesi ma anche all’interno degli stessi e, inoltre, annuncia come la vera questione oggi sia relativa alla capacità d’uso delle tecnologie digitali pregresse. Quello che emerge è che la Danimarca e il Belgio sono a capo della classifica in termini di disparità regionale nell’adozione dell’AI. Invece, Romania e Bulgaria presentano una diffusione più omogenea dei modelli di Intelligenza Artificiale.

Più nello specifico, ciò che emerge sono delle vere e proprie dinamiche spaziali: attraverso modelli econometrici, gli studiosi ritengono che se le regioni confinanti adottano l’AI vi sono maggiori probabilità di utilizzo anche da parte della regione in questione. In questo caso, l’adozione dell’AI si diffonde come una sorta di “virus” positivo grazie alla prossimità fisica e culturale. Invece, quando in passato le regioni vicine erano molto avanzate nell’uso delle tecnologie digitali, oggi la regione osservata tende a rimanere indietro nell’uso dell’AI. Dunque, la vicinanza geografica non è sempre un vantaggio.

Quello che emerge è che l’“AI divide” sia già un fenomeno reale, concreto e contemporaneo: tuttavia, l’obiettivo deve essere di fare degli strumenti tecnologici un motore di integrazione piuttosto che di disgregazione.  Chi ha un ruolo chiave in questo processo? L’Europa deve avere la capacità di assicurare forme di coesione sociale che riguardino e integrino tutti i territori.

 

L.V.


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