Social network e deontologia: gli Avvocati

Sempre più spesso professionisti e aziende ricorrono ai social media per promuovere la propria attività, raggiungendo un numero indefinito di utenti, sparsi in tutto il mondo. Ciò vale anche per gli avvocati, il cui rapporto con i social è regolato dall’art. 35 del Codice Deontologico Forense.

Nell’ottobre del 2015 il Consiglio Nazionale Forense ha modificato l’articolo 35 dell’ordinamento professionale (legge 247/2012), che recita al primo comma: “L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale”. La delibera del 22 gennaio 2016 ha provveduto a modificare il predetto comma inserendo l’inciso “quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse”, al fine di estendere il rispetto di tali diritti anche in rete.

Nel medesimo intervento è stato, inoltre, eliminato il comma 9, il quale stabiliva che “l’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso”, e il successivo comma 10 che prevedeva che “l’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito”.
Qualsiasi mezzo dunque è ammesso, anche i siti web con o senza reindirizzamento, purchè il loro utilizzo avvenga nel rispetto dei giusti doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.

Infine l’avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o contenenti riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l’attività professionale, e deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza, utilizzando il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche e precisando la qualifica e la materia di insegnamento. L’iscritto nel registro dei praticanti, invece, può usare esclusivamente e per esteso il titolo di “praticante avvocato”, con l’eventuale indicazione di “abilitato al patrocinio”, qualora l’abbia conseguita.