Cyberbullismo ed odio in rete: il punto di vista dei ragazzi

Il fenomeno del cyberbullismo e, più di recente, dell’odio in rete inizia ad occupare spazi di incontro e riflessione sempre più ampi, perché i dati sulla diffusione del fenomeno sono oramai in graduale aumento.

Tuttavia, i proclamati mezzi di contrasto e di risoluzione del problema del cyberbullismo, sia come urgente tema sociale, sia come reato, e le soluzioni proposte in ambito europeo, nazionale o territoriale non sembrano andare nella direzione giusta, quantomeno rispetto all’incindenza della crescita del dato statistico.

Si tratta di un fenomeno complesso, che coinvolge una fascia particolarmente vulnerabile della popolazione (mediamente dagli 11 ai 17 anni), difficile da contrastare, ma non impossibile, se la sfida coinvolge i diretti interessati con  adeguatezza e, soprattutto, empatia.

Giornalisti, avvocati, professori, formatori ed esperti di cyberbullismo e di odio in rete sono abituati, per vocazione o formazione professionale, ad approcciare l’argomento con metodo didattico, analitico, quasi scientifico.

E’ fortemente sentita l’urgenza di analizzare il fenomeno, confrontare dati statistici, spiegarlo ai giovani utenti, raccomandare un utilizzo consapevole  del web e dei social network, proporre esempi positivi, mettere in guardia, responsabilizzare, ed anche un po’ “intimorire”.

Ma i ragazzi, gli interlocutori dei nostri buoni propositi, cosa ne pensano? Come vivono il percorso di orientamento alla consapevolezza per evitare i rischi del web?

E’ facile impostare una “lezione” di orientamento in materia di cyberbullismo o di odio in rete, declinare gli argomenti a seconda della fascia d’età. Approssimativamente, nella fascia 14-17 anni, interessano informazioni sugli atti di cyberbullismo, sul “cosa fare se..” mentre nella fascia 17-19 anni é il mondo dei social in generale, il tipo di responsabilità (civile e penale, personale, del genitore, della scuola) rispetto a determinate condotte, e l’odio in rete nel particolare che suscitano curiosità.

Meno facile è entrare nelle maglie del mondo virtuale degli interlocutori, trovare la chiave per suscitare la giusta dose di curiosità e di interesse sull’argomento, perché spesso i ragazzi chiosano con un “ma a noi non succede, ma noi non bullizziamo nessuno sul web, ma noi non scriviamo frasi di odio, ma a noi certi argomenti non interessano, ma io se leggo un commento offensivo o guardo un video in cui qualcuno viene offeso o deriso non partecipo, non commento, chiudo e basta…”!.

Davanti a queste risposte è bene non arrendersi ma scalfire piano piano la superficie.

Partire da ciò che è (purtroppo) accaduto a giovani vittime di cyberbullismo e odio in rete serve a far comprendere le conseguenze di un utilizzo distorto o illecito del web, anche se nei ragazzi resta una visione del fenomeno del cyberbullismo, delle regole di utilizzo dei social, dell’hate speech molto introspettiva, “leggera” – non superficiale- e, soprattutto, orientata sul proprio senso di responsabilità o su quello del “gruppo” di utenti più stretto. Emerge, infatti, una certa “fiducia” nell’attività virtuale del compagno di banco, dell’amico, di quelli che, insomma, non divulgherebbero mai dati o contenuti al solo scopo di derisione o insulto.

Questo approccio genuino fa pensare. E cambia il modo di presentare ai ragazzi gli argomenti, sottoporre i rischi, trovare insieme le soluzioni.

La dimensione del contenuto che, una volta condiviso, può circolare e replicarsi anche oltre lo spazio virtuale dei propri “fidati” contatti non è immediatamente percepita, insomma, ed è qui che il discorso va approfondito ed è qui che inizia ad avere senso l’orientamento ad una corretta educazione digitale.

Il cyber spazio va spiegato, condiviso, vissuto partendo dal punto di vista dei ragazzi. C’è bisogno di confronto diretto tra adulto/esperto e giovane utente della rete, calato nel vissuto quotidiano di ognuno di loro, che allarghi l’orizzonte di discussione e dia loro l’opportunità di riflettere e di giungere a conclusioni non solo teoriche, ma che possano mettere in pratica quotidianamente.

I ragazzi in questo modo non si sentono “giudicati” per il tempo che passano in rete, per l’attività svolta sui social, per la tipologia di contenuti ai quali sono più interessati. L’adulto che non pontifica su tempi e modi, che non demonizza il web ma educa al correto utilizzo di tale strumento, aiuta anche a costruire nel ragazzo quella “consapevolezza digitale” a misura di utente e fa convergere gli scopi: i ragazzi comprendono l’importanza del contrasto al c.d. cyber crime di cui il cyberbullismo è naturale declinazione e, soprattutto, l’importanza di un’etica di comportamento e di linguaggio da spendere tanto nel mondo reale quanto nel mondo virtuale.

Solo in questo modo i pericoli del web sono destinati ad essere se non eliminati del tutto, quantomeno sconfitti in buona parte, con strumenti di prevenzione e di educazione che sono alla base di qualunque percorso formativo-educativo dagli effetti di lunga durata.

Il futuro è consapevolezza nel presente di quello che servirà domani. Se i giovani sono resi consapevoli, il loro futuro é salvo.