DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA: NON BASTA L’INSINUAZIONE

Recentemente la Corte di Cassazione penale ha stabilito una chiara delimitazione dei confini entro i quali un giornalista può esprimere opinioni senza incappare nel reato di diffamazione a mezzo stampa. La sentenza n. 4563 del 1° febbraio 2024 ha analizzato il caso in cui un direttore di un giornale aveva utilizzato l’espressione “rimborsi d’oro” riferendosi a dei funzionari pubblici.

La Corte ha sottolineato che non è sufficiente che un giornalista faccia insinuazioni in un articolo per essere accusato di diffamazione. Anche se le parole usate potrebbero avere un significato offensivo, il reato di diffamazione di solito non si verifica se la suggestione proposta non è immediatamente e inequivocabilmente percepita come offensiva per la reputazione altrui. Il parametro di verifica è la comune comprensione dell’uomo medio.

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che il direttore del giornale non può essere condannato per diffamazione in quanto l’affermazione sui “rimborsi d’oro” ai funzionari pubblici non ha una carica offensiva immediata e inequivocabile. La Corte ha sottolineato che la “scure della rilevanza penale” non può abbattersi su un eventuale sottotesto, poiché il giudizio deve basarsi sulla percezione comune dell’uomo medio.

La norma incriminante deve punire la manifestazione del pensiero come si è realizzata in concreto e non le possibili intenzioni sottostanti allo scritto. L’allusione subdola, invece, costituisce reato quando l’offesa risulta immediata nonostante il mezzo indiretto.

Questa sentenza rappresenta un importante chiarimento giuridico sui limiti della libertà di espressione dei giornalisti. Non solo stabilisce che le insinuazioni non sono sufficienti per configurare la diffamazione, ma sottolinea l’importanza della percezione immediata e inequivocabile dell’offensività da parte dell’uomo medio. Ciò rappresenta una salvaguardia per il diritto dei giornalisti di esprimere opinioni senza il timore di incappare in azioni legali, a meno che le loro affermazioni non siano chiaramente e immediatamente lesive per la reputazione altrui.