COPYRIGHT, AGCOM DIFENDE IL SUO REGOLAMENTO

Mentre i giganti del digitale crescono a dismisura, l’Unione europea, l’Italia e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) proteggono il diritto ad esistere dei siti internet qualificati, delle tv, delle radio, dei quotidiani, dei podcast. Per proteggere questa molteplicità di voci e i tanti professionisti dell’informazione che le alimentano, l’Ue vuole che gli editori anche italiani e i singoli autori ricevano un equo compenso per i contenuti giornalistici che le aziende come Meta veicolano in Rete.

L’Italia ha recepito le norme europee, trasferendole nel nostro ordinamento nel 2021. L’Agcom ha scritto un regolamento per dare applicazione alle norme europee ed italiane ma il Tar del Lazio – a dicembre 2023 – ha accolto il ricorso di Meta sospendendo gli effetti del regolamento dell’Agcom. Alla sospensione, però, non si rassegna l’Agcom che ricorre al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio, la numero 18790.

I giudici del Tar del Lazio sospettano che il regolamento Agcom sia contrario al Trattamento dell’Unione europea. Per questo motivo chiamano in causa la Corte di Giustizia dell’Ue perché sciolga questo dubbio. La legge italiana avrebbe assegnato poteri eccessivi all’Agcom che può indurre le società di internet (come Meta) ad avviare le trattative con gli editori perché si accordino sull’entità dell’equo compenso.

Nel suo ricorso al Consiglio di Stato, ora l’Agcom muove una serie di contestazioni al Tar. Nell’attesa che la Corte dica la sua, le trattative tra gli editori e Meta non possono continuare perché il regolamento dell’Agcom è sospeso e privo di effetti. E questa sospensione non paralizza solo i negoziati tra gli editori e Meta ma blocca anche il confronto con qualsiasi altra società della rete.

Sempre l’Agcom – assistita dall’Avvocatura dello Stato – ricorda le enormi dimensioni di Meta, che vanta una capitalizzazione di Borsa superiore ai 1.190 miliardi di dollari. Pagare un equo compenso agli editori italiani, ragionevole nell’importo per definizione, non scalfirebbe minimamente un simile patrimonio.

Ma nell’ipotesi – al momento solo teorica – che Meta e gli editori italiani si accordassero tra un mese sull’equo compenso, se tra un anno e mezzo la Corte di Giustizia dell’Ue dovesse dare ragione a Meta, a quel punto gli editori sarebbero tenuti a dare indietro le cifre incassate. Meta, insomma, si vedrebbe restituire completamente la somma pagata, senza rischi. Sempre l’Agcom sottolinea che il suo regolamento non obbliga certo le società di internet al versamento dell’equo compenso. Queste società conservano il diritto di ricorrere al giudice ordinario nel caso non siano convinte dell’esito del negoziato in Agcom.

In questo quadro, l’Agcom contesta dunque due cose. Primo, non considera necessario il rinvio che il Tar fa alla Corte di Giustizia dell’Ue. Secondo, critica la sospensione del suo regolamento che impedisce il proseguimento delle trattative tra società web ed editori, in attesa che la Corte Ue si pronunci. Sospensione – sottolinea Agcom – che il Tar motiva in modo generico, parlando astrattamente di «esigenze cautelari ricongiunte alla immediata esecutività delle disposizioni avversate».

 

C.T.