Ok del Garante privacy alla nuova versione di Immuni, ma ormai è troppo tardi

Dal suo lancio ad oggi si è enormemente parlato dell’applicazione Immuni, che secondo i più avrebbe dovuto costituire uno degli strumenti principali per contrastare la diffusione dell’epidemia da Covid-19.

Di fatto però non è andata esattamente così: se durante le prime 24 ore di vita, l’applicazione ha ottenuto più di 550mila download, in realtà a distanza di un anno si evidenzia come solo il 17% della popolazione l’abbia scaricata.
I dubbi e le perplessità sull’utilizzo della piattaforma ci sono sempre stati ma la vera polemica è nata quando, in una sorta di controsenso, è aumentata la preoccupazione per la propria privacy nonostante il Garante della privacy avesse dato il suo parere positivo all’utilizzo dell’app.
Innumerevoli e autorevoli opinionisti, anche giuristi, hanno visto sin dal principio nell’applicazione una sorta di attentato alla libertà personale ed alla propria privacy, portando anche avanti slogan come “la libertà non è in vendita”.
Concretamente parlando, il lancio della piattaforma ha risvegliato negli utenti la consapevolezza del valore della propria riservatezza e dell’enorme importanza che ha la tutela delle informazioni che li riguarda; sul fronte opposto, però, c’è un evidente controsenso: gli stessi utenti che lamentano un’invasione della privacy sono gli stessi che attraverso i social informano sui loro spostamenti, sulle loro preferenze, e parlano nella maggior parte dei casi anche del loro privato.

Perché utilizzare quindi due pesi e due misure?

Da un lato si teme che la app Immuni non garantisca sufficientemente la privacy, dall’altro sui treni si sentono le conversazioni telefoniche di manager che discutono dei dettagli di una delicata trattativa o avvocati che fanno il resoconto di una udienza e discutono delle clausole contrattuali con un collega.

L’applicazione, inoltre, a differenza dei social più gettonati, è stata appositamente progettata per garantire la privacy degli utenti attraverso l’associazione con il proprio telefono mediante un codice, che cambia giornalmente.
Ancora, bisogna evidenziare come, qualora un soggetto risultasse positivo al Covid-19, avrebbe la libertà di condividere questa informazione o meno, senza essere costretto solo perché ha scaricato l’applicazione.

Dunque, se il cammino dell’applicazione a distanza di un anno sembra procedere a fatica sul territorio nazionale, il tentativo di ridurre i contagi informando gli interessati sui possibili contatti avuti con dei positivi risulta ormai abbandonato.

A non darsi per vinti, però, sono proprio le Istituzioni, sostenute dal Garante della Privacy, il quale ha dato il suo consenso alla nuova funzionalità dell’applicazione: quest’ultima permetterà ad una persona risultata positiva di attivare in autonomia la procedura per allertare i suoi contatti stretti.
Nel valutare la versione aggiornata dell’app, il Garante si è maggiormente concentrato sulle misure adottate a tutela della sicurezza del Sistema di allerta Covid-10 e sulle nuove funzionalità introdotte per semplificarne l’uso.

In questo modo, si spera che i cittadini possano avere la percezione che a diffondere la notizia della loro positività siano loro stessi e non un’applicazione in automatico, mantenendo così uno stretto controllo sui propri dati.