L’utilizzo di App, il software che dovrebbe portare la giustizia nel futuro, ha generato numerose problematiche. I principali fattori di questo funzionamento anomalo sono stati:
-inesatta progettazione iniziale dei flussi processuali;
-sottovalutazione dell’andamento concreto degli uffici penali;
-mancata analisi e sperimentazione negli uffici.
Un ulteriore aspetto critico è stato l’obbligo di utilizzo per magistrati e avvocati quando ancora c’era bisogno di sperimentare e il software non era pronto.
Il Csm, il Consiglio superiore della magistratura, ha descritto l’App in maniera molto critica: “La transazione dal modello cartolare del procedimento e del processo alla trattazione digitale è stata resa tendenzialmente di ridotto impatto per l’organizzazione e per l’attività dei magistrati, pur nella comprensibile difficoltà connessa al primo impianto del sistema della dinamica del processo”.
“I flussi esistenti nel programma App, che appaiono riconducibili all’udienza preliminare sono inesistenti o comunque strutturati in maniera embrionale ed elementare. Talvolta difettano in modo radicale della pur minima analisi delle norme processuali” – ha concluso il Csm nel suo documento.
G.R.
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