L’obiettivo della ricerca era quello di comprendere meglio le vite degli adolescenti italiani, focalizzandosi in particolar modo su quelle situazioni di disagio che, come apparso dai dati, sono sempre più frequenti.
La rilevazione, effettuata in collaborazione con l’Autorità garante per la protezione dei dati personali, ha interpellato circa 108 mila tra ragazzi e ragazze residenti in Italia, aventi tra gli 11 e i 19 anni. Attraverso un questionario online sono state poste loro domande relative all’utilizzo dei social media, e di particolare interesse è risultata essere la sezione di quesiti legati al cyberbullismo.
Il cyberbullismo, sottile e moderna forma di violenza, può nascere da un messaggio offensivo, da una foto diffusa senza consenso o dall’esclusione dai gruppi online, e riguarda due terzi degli adolescenti tra quelli presi come campione (68%). Il 21% di essi ha inoltre denunciato più attacchi nell’arco dello stesso mese.
L’8% dei ragazzi tra gli 11 e 13 anni è risultato essere vittima abituale, soprattutto i maschi (8,9% contro 6,6% delle femmine). I dati segnano inoltre delle differenze geografiche: nel Nord Italia il fenomeno è più diffuso che al Sud (22% contro 20%). Tra i 14 e i 19 anni i ragazzi sono maggiormente oggetto di offese e aggressioni fisiche, mentre le ragazze patiscono l’esclusione sociale.
Le offese verbali colpiscono oltre il 55% dei giovani, con picchi nella fascia più fragile (11-13 anni). Tra le vittime “abituali” vi sono per lo più gli stranieri, con un 26,8% di ragazzi stranieri bullizzati online contro il 20,4% degli italiani. Ad essere le vittime designate del cyberbullismo sono in particolare gli ucraini (44%), i rumeni e i cinesi.
I dati dell’Istat parlano di un “fenomeno sistemico” che si declina in forme diverse per età, genere e provenienza dei ragazzi; ma la soluzione a questo dilagante problema è una sola: la cittadinanza digitale.
È ormai ben evidente l’urgenza dell’intervento all’interno delle scuole attraverso programmi educativi permanenti che trattino di temi come il rispetto reciproco e l’inclusione. È inoltre necessario formare meglio i docenti, al fine di preparali a collaborare efficacemente con scuola, famiglie e servizi sociali, così da spezzare la catena dell’isolamento che spesso accompagna le vittime e in modo tale da riuscire a bloccare le situazioni problematiche prima che sfocino in tragedie.
S.B.
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