Si definisce “revenge porn” la condivisione di materiale pornografico, in immagini o video, attraverso la rete, con sistemi di messaggistica istantanea, i social network, senza il consenso della persona ritratta ed allo scopo di nuocerle, umiliarla o ricattarla.
Ad essere non consensuale, dunque, non è la realizzazione del materiale pornografico, ma la sua successiva diffusione. Ed è a questo proposito che, prima di analizzare il tema, è necessario effettuare una doverosa premessa terminologica.
Dal momento che alcuni episodi di “revenge porn” hanno avuto conseguenze drammatiche, questa premessa non rappresenta un mero vezzo linguistico, e nemmeno una precisazione di poco conto: imparare a trattare questo fenomeno come un reato vero e proprio, in cui c’è un colpevole, che è il soggetto che diffonde le immagini senza il consenso, allo scopo di umiliare e nuocere, ed una vittima, che è il soggetto ritratto e le cui immagini vengono diffuse. In molti casi, peraltro, i protagonisti sono stati e sono tuttora minori.
Il fenomeno del sexting, che nella maggior parte dei casi sfocia in casi di revenge porn, consiste nella condivisione di messaggi a sfondo sessuale attraverso l’uso di pc o dispositivi mobili in rete, ragione per la quale non si fatica a capire quanto questa pratica sia diffusa soprattutto tra gli adolescenti.
L’utilizzo di strumenti quali internet e social network impediscono di fatto una rimozione sicura e definitiva di tutto ciò che vi inizia a circolare, comportando di fatto l’impossibilità di cancellare completamente gli effetti dannosi.
Al fine di contrastare il fenomeno del revenge porn, il Garante per la protezione dei dati personali sta progettando delle misure ad hoc per arginare questo insano fenomeno, attraverso l’approvazione di una delibera che consente a chi si sente minacciato di segnalare attraverso un modulo online.
L’Autorità sa di dover agire entro 48 ore dal momento della segnalazione in quanto l’attuale sistema dei social network “limita l’intervento del Garante a Facebook e Instagram, con cui l’Autorità ha stretto l’anno scorso un accordo di collaborazione contro questo fenomeno odioso, che in alcuni casi ha spinto la vittima a togliersi la vita”. Ecco perché è importante implementare le aree di protezione.
Giorgia Butera, presidente di Mete Onlus, afferma: “L’età si abbassa sempre di più. Un mondo parallelo che rischia di sommergerci”, per questo motivo da settembre verranno aperti degli sportelli di ascolto nelle farmacie di tutta Italia.
C.L