Secondo l’articolo 234 del Codice di Procedura Penale, i messaggi WhatsApp e gli sms rappresentano dei veri e propri documenti. Come tali, la loro riproduzione fotografica in giudizio è pienamente ammissibile.
Infatti, nel caso di una riproduzione fotografica, il messaggio si è già concretizzato in un documento creatosi ex post rispetto al flusso delle comunicazioni. Non si tratta quindi di un’intercettazione di un flusso comunicativo.
La trascrizione di sms o chat su WhatsApp, invece, può fondare il giudizio solo nel momento in cui la controparte non ne contesta il contenuto.
Il giudice, davanti alla trascrizione di una conversazione, deve valutare se sia necessario acquisire lo strumento che contiene i messaggi, quindi verificare anche la genuinità e la provenienza degli stessi.
La genuinità dei messaggi puo’ essere dimostrata attraverso: uno screenshot, una trascrizione dei messaggi, una testimonianza degli stessi o l’acquisizione del cellulare al processo.
Secondo la decisione n. 24600/22 della Cassazione, lo screenshot è utilizzabile ma, per poter essere considerato come prova in un processo, deve essere stampato oppure presentato tramite una penna usb. Rappresenta una prova solo nel caso in cui la controparte non la contesta, perché in tal caso il materiale non potrà essere utilizzato. La Cassazione ha però precisato che una tale contestazione deve essere giustificata da valide motivazioni (per esempio, l’assenza della data nel messaggio incriminato).
La trascrizione dei messaggi inviati tramite WhatsApp è ammessa, ma il giudice puo’ disporre una consulenza tecnica in caso di contestazione sulla veridicità di tale trascrizione. È infatti necessario verificare l’autenticità, l’attendibilità e la paternità poiché si tratta della riproduzione dei contenuti di una possibile prova principale.
Con la sentenza n. 38679/2023, la Cassazione Penale ha respinto il ricorso di una donna che sosteneva di aver subito maltrattamenti da parte del marito, assolto in grado di appello. Secondo la moglie, l’uomo aveva fornito la trascrizione di messaggistica a sostegno della sua tesi difensiva soltanto in sede di impugnazione della condanna subita in primo grado. Intervenuta l’assoluzione, la donna ha deciso di fare ricorso sostenendo l’illegittimità della trascrizione degli sms. Tuttavia, la moglie non aveva contestato la produzione in giudizio di tali trascrizioni, ma si era limitata a chiedere una perizia sulla loro provenienza in caso di acquisizione.
La Cassazione non ha quindi accolto il motivo, perché in sede di appello la ricorrente non aveva contestato il contenuto dei messaggi e nemmeno la loro idoneità a fondare un giudizio assolutorio.
M.M.