I soggetti destinatari sono alcuni ministeri (Imprese, Beni culturali, Salute, Infrastrutture e degli Affari regionali) mentre i progetti coinvolti sono “Italia a 1 Giga”, “Italia 5G”, “Scuola Connessa”, “Sanità connessa” e “Isole minori”. Da completare entro giugno 2026.
La direttiva, strumento che potrebbe essere un’anticipazione di una norma di legge, rappresenta anche un tentativo di sollecitare le pratiche che possono accelerare i lavori.
Nasce come risposta ai ritardi causati “in alcuni casi dall’inerzia amministrativa, in altri dalla mancata adozione di provvedimenti abilitativi aventi carattere vincolato”. Emblematico, a questo proposito, il caso delle amministrazioni locali che nel loro operato non prendono in considerazione i decreti di semplificazione che hanno visto la luce nel corso degli ultimi anni.
Secondo la direttiva le reti a banda ultralarga sono assimilabili alle opere di urbanizzazione primaria e, nello specifico, per la posa della fibra ottica non deve essere applicata la disciplina edilizia e urbanistica.
Le amministrazioni territoriali devono rispettare il divieto di richiedere documentazione già prodotta all’interno del procedimento unico. Inoltre, agli enti è data la possibilità non solo di abbreviare i termini procedimentali, ma anche di concluderli con il rilascio di un atto unico.
La direttiva pone un freno anche alle ordinanze emesse con l’obiettivo di ostacolare l’esecuzione dei lavori e ai regolamenti locali che si pongono in contrasto con le norme attualmente in vigore.
Un punto cruciale rimane l’articolo 4, che chiede ai soggetti responsabili della realizzazione dei lavori di segnalare al Dipartimento per la trasformazione digitale eventuali comportamenti che violino la direttiva.
Davanti alla scadenza del 2026 e ai 5 miliardi assegnati con e gare del Piano, la direttiva sembra prendere atto del fatto che non sia più possibile temporeggiare.
M.M.