Jonathan Haidt sostiene, nel suo libro “The anxious generation”, che ci siano delle conseguenze sulle connessioni sintattiche nell’infanzia e nell’adolescenza, dovute a un approccio genitoriale iperprotettivo e alla diffusione degli smartphone, e che portano ad un significativo aumento delle malattie mentali.
Studi evidenziano come i livelli di ansia e depressione siano aumentati del 50 per cento dal 2010 al 2019, i suicidi tra i 10 e i 19 anni del 48 per cento e tra gli adolescenti del 131 percento. Questi aumenti si riscontrano in molti paesi in tutto il mondo, non soltanto negli Stati Uniti.
Il passaggio dai cellulari agli smartphone e di conseguenza il trasferimento di gran parte della nostra vita sui social, porta alla dipendenza, che è lo scopo per cui i social network sono nati.
La tesi proposta da Haidt, nonostante venga argomentata in modo molto approfondito, non trova l’approvazione da parte di altri colleghi.
Brendan Nyhan, professore di scienze politiche statunitense, sostiene che dobbiamo fare attenzione ad attribuire ai social tutta la responsabilità di queste tendenze dei giovani.
La psicologa Nancis Odgers sostiene che le nuove tecnologie ri-cablano il cervello dei giovani causando un’epidemia di malattie mentali non sostenuta dalla scienza.
F.M.