Approvata definitivamente dal Senato il 17 settembre 2025, la prima legge italiana sull’Intelligenza Artificiale si presenta come un punto di riferimento normativo per lo sviluppo tecnologico del Paese. Tuttavia, più che celebrare un traguardo, il provvedimento ha acceso un acceso dibattito politico e sociale, evidenziando forti divisioni.
La legge, infatti, risulta essere una delega al Governo: i princìpi generali sono fissati ora, ma saranno i decreti attuativi, scritti dall’esecutivo, a stabilire come l’AI verrà effettivamente regolata. Questo ha suscitato le critiche di molte associazioni civiche e delle opposizioni parlamentari, che temono un eccessivo accentramento di poteri e l’assenza di reali contropoteri.
Una delle questioni più contestate è la mancata istituzione di un’autorità indipendente per la vigilanza sull’AI, prevista invece a livello europeo dall’AI Act. La supervisione sarà affidata ad AgID e ACN, entrambe sotto controllo governativo, e questo ha generato ulteriori preoccupazioni sulla trasparenza e sulla possibilità di interferenze politiche.
Altro punto critico è il “diritto alla spiegazione”, ovvero la possibilità per un cittadino di conoscere le modalità secondo le quali un algoritmo ha compito una scelta piuttosto che un’atra in merito a decisioni che lo riguardano. Un emendamento per affidarne la gestione al Garante della Privacy è stato respinto, riducendo le tutele contro le decisioni automatizzate opache o potenzialmente discriminatorie.
Grave, secondo molti, è anche il vuoto normativo circa il riconoscimento facciale e biometrico. Nonostante le richieste di regolamentazione, infatti, la legge non prevede limiti specifici, e questo potrà aprire scenari di sorveglianza potenzialmente invasiva.
Il Governo difende il provvedimento come necessario per favorire lo sviluppo e la competitività del paese, ma molti ritengono che, senza solide garanzie, l’Italia rischia di adottare una governance dell’AI più utile al controllo politico che alla tutela dei diritti. Il vero campo di sfida sarà pertanto quello dei decreti attuativi, dove si capirà se la legge sarà davvero uno strumento di innovazione democratica oppure un’occasione mancata.
S.B.
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