Il termine shitstorm, inglesismo che in italiano traduciamo “tempeste d’odio”, indica vere e proprie gogne mediatiche contro un soggetto, costituite da molti post o messaggi con espressioni di odio, insulti e minacce.
L’idea che i social possano trasformarsi in tribunali, trovando nella ribalta dei media tradizionali un’eco inimmaginabile, è ormai tutt’altro che remota.
Il dubbio circa l’efficacia degli algoritmi di monitoraggio nel contrasto delle tempeste d’odio reali o percepite ha spinto il consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ad avviare, su proposta del commissario Antonello Giacomelli, una serie di audizioni rivolte alle più importanti piattaforme e ai responsabili dei social più diffusi.
Tali audizioni dovrebbero essere utili da un lato a chiarire i contorni di un fenomeno che si manifesta con violenza; dall’altro serviranno a capire, a fronte di una imponente attività di controllo e rimozione, che possano verificarsi con frequenza tempeste d’odio in rete.
In questa prospettiva, il Covid ha rappresentato un campanello d’allarme per un’accelerazione normativa, tanto che il 2020 ha segnato uno spartiacque decisivo. I Regolamenti europei – a cominciare da quelli già approvati come il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA) – hanno infatti consentito di dare alle norme comunitarie una veste unitaria visto che, a differenza delle direttive, entrano immediatamente in vigore in tutti i paesi europei.
Come afferma Giacomelli, “la direzione intrapresa è senza dubbio significativa ma i limiti certo non mancano. Ad esempio, il Regolamento sui servizi digitali nello stabilire il principio che ciò che è illegale offline è illegale anche online non può che rimandare al diritto di ogni singolo stato membro quando si tratta di definire ciò che è illegale. E così mostriamo uno dei limiti ancora esistenti in Europa rispetto al processo di unificazione normativa”.
C.L.