Se ne parlava già da tempo, dall’emanazione della nuova direttiva Ue sul Copyright di Maggio 2019, ma fino ad ora accordi concreti non se n’erano visti, salvo eccezioni (Australia e Francia in particolare).
I grandi motori di ricerca sono tenuti, secondo la nuova normativa Ue a sottoscrivere accordi con gli editori di cui indicizzano le notizie, al fine di remunerare questi ultimi sulla base dei ricavi derivanti dall’indicizzazione stessa.
E se fino a qualche tempo fa Google non aveva intenzione di scendere a patti con gli editori, oggi la situazione è diversa. E’ stato siglato un accordo storico tra il colosso di Mountain View e la News Corp di Rupert Murdock, uno dei principali detentori di potere nel mondo dei media. L’accordo prevede una partnership pluriennale in base alla quale Google pagherà gli editori per indicizzare gli articoli nella sezione “Google News”.
Grazie a tale sottoscrizione, mentre in Europa si continua a dibattere, in Australia sono passati ai fatti: dalla concentrazione di potere di Murdoch, che possiede tutti i giornali e le tv australiane che contano e non solo, è scaturita una particolare sensibilità verso il dibattito in atto tra il Parlamento di Canberra e Google.
Così, mentre l’Australia ufficiale della politica puntava la pistola in faccia a Google discutendo una legge che la obbligasse (insieme a Facebook) a pagare i contenuti giornalistici, Rupert si è portato avanti ed ha svuotato le copiose tasche di Big G: la sua News Corp, rivela il Financial Times, ha raggiunto un accordo con il gigante californiano in base al quale riceverà «pagamenti significativi» per i suoi prodotti.
L’intesa, di durata triennale, non si limita al mercato australiano, ma si estende agli altri bastioni dell’impero mediatico di Murdoch, sul quale non tramonta mai il sole: dal Wall Street Journal al New York Post negli Stati Uniti, dal Times al Sun in Gran Bretagna. E comprende altri punti cruciali: lo sviluppo di una piattaforma di abbonamento, la condivisione delle entrate pubblicitarie e «investimenti significativi nel video giornalismo innovativo» che prevedono evidentemente l’inserimento di YouTube, uno dei gioielli di Internet finito tra i tentacoli di Google.
L’importanza di questa notizia è data dal fatto che stabilisce, finalmente, un primo parametro concreto ed apre la strada ad accordi simili tra i colossi americani ed editori di tutto il pianeta. Gli accordi bilaterali, però, non sono probabilmente la strada maestra, perché non tutti hanno il potere di Murdoch: servono leggi che stabiliscano quale percentuale dei profitti di Google e Facebook debba finire ai giornali.
L’accordo è arrivato mentre in Australia veniva approvata una legge dalla Camera dei Rappresentanti che costringe i giganti del web a pagare per il contenuto delle notizie. La legge deve essere ancora approvata al Senato ma rappresenterebbe una pietra miliare importantissima: in sostanza, i colossi del web dovranno pagare gli editori per usare le notizie pubblicate dai giornali.
Google, dal canto suo, aveva già sottoscritto alcuni accordi per la retribuzione: oltre al citato accordo con Murdoch, già nel 2020 aveva firmato una collaborazione con Spiegel Group, in Germania, ed una con Diarios Associados, in Brasile. In ogni caso, come riportato dal Financial Times, le cifre dei nuovi accordi che la società di Mountain View sta stringendo in Australia prevedono somme di gran lunga maggiori, visto che adesso c’è una legge a fare da bilanciere.
Su Facebook la situazione è diversa. Il social network ha deciso di vietare la visualizzazione e la condivisione di notizie australiane e internazionali, proprio per non avere a che fare con questa nuova legge. I vari editori australiani potranno continuare a pubblicare contenuti su Facebook, ma non con link diretti ai loro portali.
Il governo australiano ha reagito con rabbia, anche perché sono state bloccate anche le pagine Facebook ufficiali dei servizi di emergenza, di sanità o di polizia, utilizzate ad esempio per allertare la popolazione in caso di incendi boschivi, cicloni o persino epidemie.
L’amministratore delegato di Facebook Australia dal canto suo, ha comunque da ridire sulla legge perché, a suo dire, fraintende il rapporto tra la piattaforma e gli editori che la utilizzano per dare visibilità ai loro contenuti. La decisione di Facebook è influenzata unicamente dalla legge, e non da un tentativo di mettere i bastoni tra le ruote agli editori.
In tutto ciò si crea probabilmente un precedente che alcuni potrebbero definire “pericoloso”. La mossa dell’Australia potrebbe dare il via ad una serie di provvedimenti in tutto il mondo per tutelare sia gli editori sia i lettori e il modo in cui vengono esposti alle notizie navigando su Google. Una questione senza dubbio spinosa di cui seguiremo l’evolversi nei prossimi mesi.