Nel novembre dello scorso anno, Sam Altman, CEO di OpenAI, ha annunciato l’apertura del GPT Store, un’innovativa piattaforma dedicata esclusivamente alla vendita di chatbot personalizzati basati sul modello linguistico di ChatGPT, dove gli utenti possono condividere pubblicamente i propri chatbot personalizzati.
L’introduzione di questa piattaforma ha rappresentato un importante passo avanti nell’ambito della distribuzione e della personalizzazione di assistenti virtuali basati sull’Intelligenza Artificiale.
Tuttavia, l’entusiasmo iniziale è stato offuscato da una serie di problemi e lo store sembrerebbe non funzionare come dovrebbe.
In primo luogo, il GPT Store ha iniziato a essere invaso da chatbot che violavano i diritti d’autore, creando contenuti ispirati a franchise famosi del mondo del cinema, della tv e dei videogiochi come Disney e Marvel senza ottenere le necessarie autorizzazioni. Questo costituisce una grande violazione del copyright. Ad esserne responsabile, però, non ne sarebbe OpenAI, grazie alla disposizione “safe harbor” del Digital Millennium Copyright Act. Tuttavia la questione rappresenta un danno all’immagine di OpenAI.
Nonostante le affermazioni di OpenAI riguardo a una rigorosa revisione dei chatbot per garantire il rispetto delle norme, i sistemi di moderazione sembrano non essere all’altezza, permettendo la proliferazione di chatbot illegali.
Una questione ancora più preoccupante riguarda la presenza nel GPT Store di strumenti progettati per aggirare i rilevatori di contenuti generati dall’AI. Nonostante i termini di servizio di OpenAI vietino esplicitamente la creazione di chatbot che promuovono la disonestà accademica, il marketplace è pieno di chatbot che promettono di “umanizzare” i testi per ingannare i sistemi di rilevamento. Nonostante ciò, OpenAI sembra essere ambigua nel trattare tali violazioni, aprendo così la strada a ulteriori abusi.
Un altro problema significativo è rappresentato dai chatbot che si fingono personaggi pubblici o organizzazioni senza alcun consenso legale. Una semplice ricerca nel GPT Store rivela molteplici chatbot che impersonano figure famose come Elon Musk, Leonardo Di Caprio, Barack Obama e Donald Trump, senza avere alcuna autorizzazione.
In definitiva, il GPT Store di OpenAI si trova ad affrontare una serie di sfide che minacciano la sua reputazione e la sua legalità. La presenza di chatbot che violano il copyright, promuovono la disonestà accademica e si fingono personaggi pubblici senza consenso mette a rischio l’integrità del marketplace e richiede un’azione urgente da parte di OpenAI per risolvere la situazione e ripristinare la fiducia degli utenti.
LG