“Siamo indignati. Faremo un esposto al garante della Privacy: c’è stata un’incursione nella vita di questi genitori senza che ci fosse una reale necessità e senza chiedere alcuna autorizzazione”, Maura Panarese e Fulvio Gambirasio, i genitori della ginnasta Yara Gambirasio (la giovane di Brembate uccisa nel 2010, ndr) che hanno denunciato Netflix. La ragione di tale decisione è che la piattaforma ha inserito all’interno della docuserie Il caso Yara, oltre ogni ragionevole dubbio (di Gianluca Neri, ndr) numerosi e strazianti messaggi audio che la madre aveva inviato alla segreteria del cellulare della figlia dopo la scomparsa della 13enne il 26 novembre 2010.
Successivamente alla scomparsa dell’adolescente, assassinata la stessa sera da Massimo Bossetti, il telefono di famiglia è stato messo sotto controllo, anche se sotto l’aspetto investigativo non è saltato fuori mai nulla di interessanti e significativo: solo decine di telefonate tra parenti e amici. Queste intercettazioni non sono state prese in considerazione durante il processo, come spiegano i legali Andrea Pezzotta ed Enrico Pelillo (avvocati della famiglia Gambirasio, ndr), al fine della ricostruzione giudiziaria dell’accaduto. A rendere pubblici tali audio ci ha pensato Netflix con la serie televisiva di Gianluca Neri facendone una spettacolarizzazione mediatica.
All’interno dello stesso prodotto audiovisivo è stato dato spazio anche all’assassino Massimo Bossetti in una versione “innocentista”. Bossetti non è stato l’unico personaggio inopportuno, ma c’è la presenza anche della pm Letizia Ruggieri che è indagata per frode all’interno in processo e depistaggio per aver conservato 54 campioni di Dna – che sono stati estratti dai vestiti della giovane Yara dove è presente la traccia mista di vittima e assassino – e sono stati spostati dal frigo dell’Ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi reato del tribunale di Bergamo.
M.P.