Da mesi stiamo dedicando ampio spazio all’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale e dunque abbiamo deciso di promuovere un confronto tra alcuni docenti titolari di insegnamenti collegati a questa nuova frontiera della trasformazione digitale.
Oggi pubblichiamo l’intervista di Gabriella Puppo, Presidente del Corso di Laurea di Scienze matematiche per l’AI dell’Università La Sapienza di Roma, ascoltata da noi sull’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale.
- In qualità di Presidente del Corso di Laurea di Scienze matematiche per l’AI dell’Università La Sapienza di Roma, come valuta lo stato attuale dell’Intelligenza Artificiale e quali avanzamenti crede siano più promettenti per il suo futuro nel contesto scientifico?
Credo che i progressi attuali dell’AI siano sbalorditivi, ma che ci sono numerosi problemi che devono ancora essere affrontati. Ci sono aspetti etici che richiedono una forte consapevolezza, a chi lavora in questi ambiti, che è ancora embrionale. Ci sono aspetti ambientali importanti, perché l’AI consuma moltissima energia, sia per l’elaborazione dei dati che per la loro memorizzazione. C’è un forte deficit nella “accountability” dei risultati: non si sa attraverso quali particolari informazioni, fra la massa enorme di dati utilizzati, l’algoritmo arriva ad un determinato risultato e dunque non si sanno giustificare le risposte ottenute. Ci sono delle vulnerabilità che possono essere utilizzate in modo malevolo, da cui non è chiaro come difendersi. Soprattutto, questi algoritmi funzionano sorprendentemente bene, ma nessuno sa esattamente perché. Non ci sono dimostrazioni matematiche che ci sappiano dire quali sono i margini di errore, o di quanti dati abbiamo davvero bisogno per ottenere una determinata affidabilità.
- Quali sono gli obiettivi principali del Corso di Laurea in Scienze Matematiche per l’AI e quali sono i principali punti di forza del programma accademico? In che modo questo corso di laurea contribuisce al panorama dell’innovazione tecnologica e al progresso sociale a livello locale e globale?
Questo corso di laurea ha diversi obiettivi. Innanzitutto, l’idea centrale è di coniugare delle basi profonde di matematica e di informatica. Gli insegnamenti sono caratterizzati da un dialogo costante fra matematica e informatica, in un approccio che è fortemente interdisciplinare. L’accento nei primi due anni del corso è soprattutto sulla teoria, perché sono le conoscenze teoriche che permettono di capire il funzionamento degli algoritmi. E questo è indispensabile per poter creare quello che ancora non esiste. Questo aspetto rende questo corso unico nell’università pubblica italiana. Via via che lo studio prosegue, si affiancano le applicazioni, soprattutto al terzo anno. Si studia neurofisiologia, biologia computazionale, applicazioni alla fisica o allo studio dei terremoti. Abbiamo coinvolto docenti del nostro Ateneo con competenze molto diverse che ci hanno permesso di poter proporre un piano di studi diversificato. L’accento sulle applicazioni alla biologia è anche motivato dalla presenza in Lazio di diverse aziende biotech molto innovative. Inoltre, abbiamo inserito un insegnamento di etica e uno di comunicazione scientifica, perché è sempre più importante che i tecnici dialoghino con la società e siano coscienti dell’impatto etico del loro operare.
- Come vede il futuro dell’Intelligenza Artificiale nel contesto dell’istruzione universitaria? Quali sono le vostre idee sull’evoluzione futura del campo dell’Intelligenza Artificiale e come il vostro corso di laurea si sta preparando per rispondere a tali sviluppi?
Ci sono tantissimi aspetti che dovranno cambiare nell’istruzione, e non solo in quella universitaria. L’aspetto più evidente è quello della valutazione delle persone. Con ChatGPT diventa molto difficile, se non impossibile, capire se un testo è stato prodotto dal software oppure è stato scritto da uno studente. Penso che sarà importante rivalutare gli esami orali, che garantiscono la genuinità delle risposte. Ma soprattutto, penso che diventerà più importante motivare e coinvolgere studenti e studentesse, cercando di far capire perchè si studiano determinati argomenti e che differenza c’è tra fare propri determinati concetti e studiarli passivamente. Nel nostro corso di studi, l’accento è proprio sul capire. Capire le basi matematiche e informatiche degli algoritmi dell’AI, saperne valutare l’affidabilità, capire il nesso fra i dati e gli algoritmi. Capire ti mette al riparo dai cambiamenti, perché permette di applicare gli strumenti che si sono acquisiti a nuovi sviluppi.
- Come Presidente del Corso di Laurea di Scienze matematiche per l’AI, lo scorso ottobre ha partecipato come moderatrice all’evento “AIxWOMEN: Intelligenza Artificiale, Donne e Inclusione”. In tal senso secondo lei qual è il ruolo dell’etica nella progettazione sistemi di Intelligenza Artificiale, e quali iniziative ritiene fondamentali per garantire che lo sviluppo dell’AI sia guidato da un quadro etico che promuova la figura femminile e contrasti le disuguaglianze di genere, invece di riprodurle o amplificarle?
La progettazione di algoritmi di AI è stata portata avanti da tecnici e all’inizio gli aspetti etici erano assenti. Con lo sviluppo sensazionale di questi algoritmi e le applicazioni che si stanno aprendo ad altissima velocità, gli aspetti etici diventano sempre più importanti, ma è evidente che c’è un forte ritardo nell’analisi degli aspetti etici rispetto alle innovazioni tecniche. Basta pensare alla regolamentazione che è molto indietro rispetto allo sviluppo di nuove applicazioni. Questo ritardo danneggia soprattutto le comunità meno protette, ed è qui che le disuguaglianze di genere rischiano di ampliarsi, ma non solo. In un mondo non regolamentato, le disuguaglianze di ricchezza o di sviluppo rischiano di aumentare. Quindi, è essenziale che ci sia una legislazione competente, veloce ed efficace che protegga chi rischia di perdere il lavoro, che ridistribuisca verso i cittadini, e in particolare alle donne, i proventi derivanti dalla maggiore produttività. Un altro aspetto importante è costituito dai dati che vengono utilizzati per allenare gli algoritmi. Se i dati hanno un pregiudizio di genere, le risposte degli algoritmi saranno inquinate dallo stesso pregiudizio. Ci sono già casi noti, per esempio nell’analisi automatica dei curriculum delle persone che cercano lavoro. E’ essenziale che ci sia trasparenza nella struttura dei dati che vengono utilizzati. Questo ancora non c’è. E per costruire queste regole, penso che sia essenziale che ci sia un dialogo fra i tecnici e i legislatori che oggi, soprattutto in Italia, non è sviluppato.
- Quali sono, secondo lei, le iniziative e le politiche più efficaci che istituzioni accademiche e organizzazioni possono adottare per sostenere e promuovere la presenza delle donne nelle discipline STEM, in particolare nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale?
Quando gli studenti e le studentesse si affacciano all’istruzione universitaria, le asimmetrie legate al genere sono già all’opera da tempo. In università vediamo ragazze capaci, molto determinate e scientificamente creative. Queste studentesse di solito hanno un percorso perfettamente paragonabile a quello dei maschi. Non vediamo differenze né nella tempistica con cui vengono fatti gli esami, né nei risultati ottenuti. La presenza delle donne è in crescita, ma è ancora inferiore a quella dei maschi, soprattutto ad ingegneria e nelle materie più tecniche. Credo che molte giovani donne non prendano in considerazione una carriera STEM per motivi che hanno radici lontane e che il distacco verso le materie tecniche si formi molto presto, sin dai primi anni di scuola. L’Università propone diverse iniziative per motivare studenti e studentesse verso le materie STEM, ma quasi tutte coinvolgono studenti delle Superiori, quando, forse, è troppo tardi. Inoltre, è relativamente facile osservare degli indici quantitativi, come la percentuale di laureate in materie STEM rispetto ai maschi, ma non si tratta solo di numeri. Un mondo in cui le ragazze partecipano all’istruzione di ambito STEM come i maschi non è ancora un ambiente inclusivo. Il mondo della ricerca, che indubbiamente si è aperto in parte alla presenza femminile, non ha cambiato i suoi paradigmi. E’ ancora un mondo creato da maschi ed è funzionale al mondo maschile, per esempio nelle tempistiche della carriera, che richiedono un impegno particolarmente intenso nelle prime fasi, o nell’accento sulla quantità della produzione scientifica anche a discapito della qualità. Per esempio, è noto che nella ricerca matematica i risultati migliori e più profondi sono ottenuti da ricercatori giovani. Per le donne, i risultati migliori arrivano più tardi. Forse perché è solo quando sono più libere di occuparsi di ricerca che le donne riescono ad essere finalmente scientificamente produttive?