Il falso grossolano si concretizza nella prassi frequente di alcuni venditori, talvolta occasionali o ambulanti, orientata a porre in vendita prodotti “di moda”, con caratteristiche qualitative, con modalità di esposizione e di confezionamento, ad un prezzo decisamente inferiore rispetto a quelli di mercato del prodotto originale. Il problema emerso in dottrina e in giurisprudenza riguarda la riconducibilità o meno del fenomeno richiamato alle previsioni delle fattispecie dei reati ex art. 473 e 474 c.p. Il complesso delle condizioni di vendita è tale, in questi casi, che difficilmente possa ritenersi presente il requisito della “confondibilità” dal momento che l’acquirente è quasi sempre pienamente consapevole del carattere contraffatto del prodotto.
Secondo, infatti, l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione il falso grossolano si presenta così evidente da risultare “inidoneo” ad ingannare chicchessia ed è inoffensivo rispetto al bene della fede pubblica proprio per l’inidoneità a trarre in inganno la collettività; si configura, dunque, tanto macroscopico, ictu oculi, da risultare riconoscibile in base ad una semplice disamina dell’atto, per la generalità delle persone, senza che occorra possedere particolari cognizioni tecniche, ovvero essere particolarmente diligente. Diversamente, la contraffazione, pur imperfetta e riconoscibile da una cerchia di esperti, qualora sia, ciò nonostante, tale da comportare, per la media delle persone, la possibilità di inganno, determina una condotta penalmente rilevante (Cass. pen., Sez. I, n. 8414/2004); in altre parole viene impostato il giudizio di confondibilità in termini più astratti; viene cioè valorizzato, in una ricostruzione della fattispecie in chiave complessivamente pluri-offensiva, il sacrificio sofferto in tali frangenti dagli interessi patrimoniali del titolare dei diritti di proprietà industriale, associati al marchio.
La giurisprudenza precisa inoltre che, in tema di falso, la valutazione dell’inidoneità assoluta dell’azione, che dà luogo al reato impossibile, deve essere fatta ex ante, vale a dire sulla base delle circostanze di fatto conosciute al momento in cui l’azione viene posta in essere, indipendentemente dai risultati, e non ex post.
In relazione al falso d’autore, cioè alla vendita di prodotti recanti marchi chiaramente falsi, con l’apposizione della dicitura “falso d’autore”, è pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui l’evenienza di tale fattispecie concreta costituisce sempre reato, ai sensi dell’art. 474 del codice penale. Ad onor del vero, il problema del falso d’autore, nonostante l’indiscutibile talento del falsario, si identifica pur sempre in una copia non autorizzata e dunque in una violazione del copyright. In tal senso, la normativa accorda una speciale tutela all’affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi, tutela che non può essere compromessa da diciture “attestative” circa l’indebito uso del marchio, quali falso d’autore o simili diciture, giacché la contraffazione è, in sé, sufficiente e decisiva per la violazione del bene tutelato. In maniera più analitica, per la configurazione del reato di cui all’art.474 c.p. la Corte di Cassazione ha precisato che si tratta di un reato di “pericolo”, per la cui integrazione rileverà solo l’attitudine della falsificazione a ingenerare confusione.