Chi decide oggi cosa mostrare, come ordinarlo, quali opere accostare? La risposta potrebbe non arrivare più solo da curatori e direttori artistici, ma anche da un algoritmo. L’Intelligenza Artificiale, infatti, sta trasformando la gestione delle mostre nei musei, affiancando alla sensibilità umana la capacità computazionale di analizzare dati, riconoscere pattern e anticipare desideri.
In Italia, il progetto AI for MUSE ha già esplorato l’uso dell’AI e della realtà virtuale per ripensare l’allestimento museale in ottica partecipativa e dinamica. Otto istituzioni, dal Museo Egizio alla Reggia di Venaria, hanno sperimentato nuovi format di visita guidata, dall’interazione tra dati, contenuti digitali e comportamenti del pubblico. L’obiettivo? Non solo ottimizzare l’esperienza di fruizione, ma ridefinire la logica stessa di progettazione museale.
Negli Stati Uniti, il Museum of Science di Boston ha invece messo in mostra l’AI come oggetto, non solo come strumento, con un’esposizione permanente che riflette su come i pregiudizi umani possano influenzare l’apprendimento automatico. Ma è dietro le quinte che l’AI mostra il suo vero potenziale in ambito manageriale, attraverso la catalogazione automatica delle opere, i suggerimenti di layout espositivi sulla base di affinità visive o semantiche e le analisi predittive sui flussi di pubblico.
L’AI può osservare i comportamenti dei visitatori, quanto tempo si soffermano davanti a un’opera, che percorso scelgono, dove invece si annoiano, e proporre modifiche all’allestimento in tempo reale. Può analizzare il sentiment sui social network per valutare l’impatto culturale di una mostra sull’audience o personalizzare l’esperienza di visita museale suggerendo percorsi tematici, commenti audio e approfondimenti testuali in base agli interessi individuali.
E se la gestione delle collezioni diventa più efficiente (grazie a sistemi che riconoscono e raggruppano opere simili per stile, tecnica o provenienza) lo stesso vale per la dimensione educativa: l’AI permette di creare contenuti diversificati, multilivello, capaci di adattarsi a target che differiscono per età, competenze e bisogni (anche ai più giovani).
Ma il vero cambiamento riguarda il ruolo del museo: non più solo contenitore statico di opere, ma organismo adattivo, capace di evolvere con il suo pubblico. Se ben governata, l’AI può essere una risorsa per liberare tempo curatoriale, ampliare l’accessibilità e moltiplicare le possibilità narrative. La posta in gioco, però, è alta: serve una visione culturale che guidi la macchina, altrimenti sarà la macchina a dettare la visione.
L’algoritmo sa ordinare le opere, ma solo l’umano sa perché vale la pena mostrarle.
A.C.