Il rapporto tra giornalisti e big tech non è mai stato semplice. Le grandi piattaforme tecnologiche svolgono un ruolo centrale e sempre più significativo nella distribuzione e fruizione delle notizie. Questo ha destato non poche preoccupazioni tra i professionisti dell’informazione per vari motivi, inclusi l’aspetto economico e la sostenibilità dell’industria giornalistica tradizionale.
Colossi come Facebook e Google agiscono come intermediari nel mondo dell’informazione, attirando un vasto pubblico e generando introiti pubblicitari considerevoli, che però non finiscono nelle tasche di coloro che hanno prodotto il contenuto, i giornalisti. Questo ha portato a sollevare dubbi in tutta Europa sull’equo compenso che spetta a questi professionisti, i cui contenuti vengono condivisi sulle piattaforme.
In Italia, un punto di svolta era arrivato con la Direttiva Copyright Ue 2019/790, che ha stabilito che agli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico debba essere riconosciuto un equo compenso per lo sfruttamento dei loro contenuti. Alla direttiva era seguito il decreto legislativo 2021/177, che applicava le decisioni Ue in materia al caso italiano, riconoscendo agli autori degli articoli una quota per garantire questo equo compenso. Infine l’Agcom aveva emanato un regolamento per assicurare agli editori un equo compenso, vincolando i giganti della Rete al suo versamento. Le premesse per far tremare le big tech c’erano tutte, ma la situazione ha preso una svolta che non farà piacere all’editoria italiana.
Il Tar del Lazio, a fronte di un ricorso di Facebook, ha sospeso il regolamento dell’Agcom citato poco fa. Inoltre, ha rimandato la decisione alla Corte di Giustizia Europea, chiedendole di chiarire se l’Italia può davvero imporre un equo compenso alle piattaforme. I dubbi non si fermano qui. La Corte dovrà anche esprimersi sulla legittimità del Garante di sanzionare i colossi nel caso si rifiutino di pagare, e dovrà stabilire se le stesse aziende debbano davvero negoziare con le testate giornalistiche in materia di equo compenso.
La decisione del Tar lascia a bocca aperta. Non sono bastati una direttiva Ue, un decreto legislativo e un regolamento, prodotti nell’arco di ben quattro anni, per assicurare al mondo giornalistico equità remunerativa e un corretto rapporto tra aziende editoriali e big tech.
E così, mentre in altri Paesi dell’Unione la legge sull’equo compenso è già in vigore, l’Italia si prepara ad affrontare un nuovo periodo di attesa e incertezza, aspettando di capire quale sarà la decisione della Corte di Giustizia Europea.
SF