Il mistery shopper è un finto cliente che si reca in un punto vendita e si comporta come un normale potenziale compratore. La differenza però è che il fine del mistery shopper è valutare il modo in cui vengono trattati gli acquirenti da parte dell’attività. Si tratta infatti di uno strumento usato da aziende che incaricano società specializzate nel condurre una valutazione in maniera imparziale.
Questo strumento è assolutamente lecito e molto utile per valutare in maniera competente la customer experience. Tuttavia, nel suo utilizzo si possono correre dei rischi. Implica, infatti, un controllo dei dipendenti che potrebbe causare problemi per quanto riguarda la tutela dei dati personali e dei diritti dei lavoratori. Si tratta di un bel paradosso, se da un lato la pratica risulta efficace perché segreta e ‘’a sorpresa’’, d’altra parte non è pienamente corretto il trattamento che ricevono i dipendenti dei negozi. Viene quindi a mancare la trasparenza delle aziende nei confronti dei dipendenti.
Inoltre, ogni decisione potrebbe essere contestata, in quanto basata sulla valutazione del mistery shopper. Si tratterebbe di opinioni di persone esterne a quelli che sono gli interessi di un’azienda, ma sarebbero comunque pareri soggettivi e per questo discutibili.
Le aziende stanno quindi valutando come usufruire al meglio di questo strumento, senza ovviamente compromettere il rapporto con i dipendenti.
Una soluzione prudente potrebbe essere quella di chiedere alla società incaricata del mistery shopping solo report aggregati od anche report più puntuali rispetto al punto vendita ma solo in quei casi in cui il numero di dipendenti sia sufficientemente alto da impedire di identificarli (ad esempio lo store di una specifica città con numerosi addetti contemporaneamente presenti lo stesso giorno, in modo che sia ragionevolmente impossibile capire chi si sia occupato della vendita).
(G.S)