L’accordo, pur non avendo valore legale vincolante, rappresenta una dichiarazione d’intenti. L’obiettivo è quello di integrare l’Intelligenza Artificiale generativa di OpenAI nei servizi pubblici britannici per aumentarne produttività, efficienza e qualità. Un passo significativo che punta a trasformare radicalmente il funzionamento del Paese, ma che solleva anche interrogativi sulla trasparenza, sulla privacy e sulla gestione dei dati pubblici.
Per OpenAI si tratta di un’occasione d’oro. L’accesso ai dati governativi potrebbe potenziare l’addestramento dei suoi modelli, rafforzare la presenza nel Regno Unito e consolidare la sua immagine come partner istituzionale affidabile. Un notevole vantaggio strategico, soprattutto in un momento in cui le normative europee e americane si fanno sempre più stringenti.
Dall’altro lato, il Governo britannico punta a una pubblica amministrazione più moderna, dove l’AI gestisce le attività di routine, liberando così il personale qualificato per affrontare i casi complessi.
Tuttavia, l’opinione pubblica rimane divisa. Secondo un sondaggio Ipsos, il 31% dei britannici si dichiara entusiasta ma anche preoccupato per i rischi dell’AI, mentre un altro 30% prova l’esatto contrario. Al centro del dibattito, c’è il timore che i governi diventino sempre più dipendenti dai fornitori privati difficili da regolare.
Non si tratta del primo accordo di questo tipo. Infatti, nei mesi scorsi anche Google DeepMind ha siglato un’intesa simile con la Gran Bretagna, suscitando critiche da parte di alcune organizzazioni che l’hanno definita “pericolosamente ingenua”.
L’intesa con OpenAI, al momento solo una dichiarazione di intenti, potrebbe tuttavia ridefinire i confini della sovranità digitale nel Regno Unito, aprendo nuovi scenari sul rapporto tra Stato e le Big Tech.
S.C.