La Relazione annuale 2024 del Garante per la protezione dei dati personali, presentata il 15 luglio dal presidente Pasquale Stanzione, è molto più di un bilancio amministrativo. È un manifesto politico e culturale sulla necessità di riequilibrare lo strapotere digitale, ponendo la persona al centro della rivoluzione tecnologica e dell’intelligenza artificiale.
Stanzione parla di un “tempo fuori luogo”, richiamando Amleto, per descrivere l’epoca attuale: una fase di crisi e scelta, in cui i dati sono la vera materia prima della società e decidono non solo l’efficienza dei servizi, ma la qualità stessa della democrazia. Proteggere i dati significa garantire che l’innovazione resti al servizio dell’uomo, non viceversa.
L’intelligenza artificiale, definita una “general-purpose technology” capace di influenzare interi sistemi economici, rappresenta il nodo cruciale. Se i benefici sono enormi, dalla diagnosi medica alle analisi predittive in ambito energetico, i rischi sono altrettanto evidenti: sorveglianza pervasiva, disallineamenti emergenti degli algoritmi, discriminazioni di genere e manipolazioni dell’opinione pubblica. Da qui l’appello del Garante per un’“algoretica” capace di imporre regole e limiti chiari, con verifiche periodiche sull’impatto dei sistemi ad alto rischio, come previsto dall’AI Act europeo.
Ma la Relazione insiste anche su un altro punto: la consapevolezza digitale come dovere collettivo. Senza una cultura diffusa della privacy, nessuna norma può bastare. La protezione dei dati non è più solo una barriera tecnica, ma un elemento fondativo delle democrazie moderne, l’unico vero argine a un potere digitale bulimico nei mezzi e anoressico nei fini.
L’Europa ha scelto di fondare la propria sovranità sul diritto e non sulla forza. Ma, avverte il Garante, questa scelta richiede coraggio politico e responsabilità diffusa: perché l’innovazione senza regole non è progresso, è solo un’altra forma di dominio.
A.C.
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