Dopo quasi tre anni di aspri e conflittuali negoziati, il Parlamento europeo ha approvato, nel marzo scorso, il testo della nuova Direttiva sul copyright. Esso aggiorna le regole giuridiche del web, ferme alla Direttiva n. 29 del 2001, e le adegua ai ritmi impressionanti del traffico online, che imponevano punti fermi per tutelare gli autori e i produttori delle opere dell’ingegno creativo di natura giornalistica, musicale, cinematografica, artistica etc. L’Assemblea di Strasburgo ha espresso parere favorevole con 348 sì, 274 no e 36 astenuti. Questi numeri confermano le fratture tra i gruppi politici, e anche al loro interno, e le pressioni esercitate fino all’ultimo dai colossi del web per impedire l’approvazione della Direttiva. Nel concreto essa impone obblighi molto stringenti ai giganti della Rete per quanto riguarda la condivisione di contenuti prodotti da altri. La Direttiva, è bene ricordarlo, intende garantire che diritti e obblighi del diritto d’autore si applichino anche online e che i ricavi di società come Google, YouTube e Facebook siano condivisi con artisti e giornalisti. Le nuove norme dovrebbero infatti rafforzare la possibilità per autori, editori e creatori, ovvero i titolari dei diritti (musicisti, artisti, interpreti, sceneggiatori ed editori di notizie), di negoziare accordi migliori sulla remunerazione derivata dall’utilizzo delle loro opere presenti sulle piattaforme internet. Gli articoli più controversi dell’intera direttiva sono il 15 e il 17, che prevedono rispettivamente un compenso per gli editori da parte delle piattaforme online e una maggiore responsabilizzazione di queste ultime per le violazioni dei diritti d’autore. Le attenzioni dei critici della riforma – fra cui le grandi piattaforme americane e gli attivisti per la libertà di Internet – si sono concentrate soprattutto sull’articolo 17. Esso prevede che le piattaforme online esercitino delle forme di controllo su ciò che viene caricato dagli utenti, in modo da escludere la pubblicazione di contenuti protetti dal diritto d’autore e sul quale gli utenti non detengono diritti. Le piattaforme dovranno impegnarsi a rimuovere tutti i contenuti illeciti e prevenirne la loro futura pubblicazione con un meccanismo di “filtro” (anche se il testo approvato in Consiglio parla di “massimo impegno” nel rimuovere i contenuti, cosa che lo ha reso meno stringente della proposta iniziale del Parlamento). Gli utenti non saranno responsabili di quanto caricheranno; lo saranno le piattaforme che dovranno verificare se il materiale è legale. Per i promotori delle modifiche le soluzioni proposte, e via via corrette e integrate nella Direttiva, danno la possibilità di avere licenze più adeguate da applicare online, tutelando meglio i diritti degli autori. Anche per questo motivo l’articolo 17 ha trovato nelle case discografiche, nelle associazioni degli autori e nelle case cinematografiche i principali sostenitori. Ma chi è contrario al testo fa notare che le norme sono confuse e lasciano troppo spazio alle normative nazionali per la definizione di cosa sia un sito di notizie o una piattaforma, con il rischio di avere 28 legislazioni diverse e poca tutela per i titolari di copyright più deboli. La Direttiva prevede che una parte del materiale, come i meme o i Gif, possa essere condiviso gratuitamente, così come gli hyperlink agli articoli accompagnati da poche parole o estratti molto brevi. Formalmente la Direttiva non impone filtri o altri meccanismi per individuare il materiale con copyright. Ma, secondo i contrari al testo, questo meccanismo incoraggerà i colossi a usare meccanismi automatici per filtrare i contenuti e cancellare anche materiale legale perché non coperto da diritti d’autore. Quanto ai cosiddetti “snipett” (i link con titoli o frammenti di un articolo), il testo dell’accordo è formulato in modo vago: gli aggregatori di notizie come Google News o Facebook dovranno far comparire solo un testo “molto breve”. Chi si oppone al provvedimento sostiene che si tratti comunque di una “tassa sui link”, che perfino Wikipedia rischia di dover pagare. Nel testo viene specificato però che il caricamento di opere su enciclopedie online in modo non commerciale, come nel caso di Wikipedia, o su piattaforme software open source, come nel caso di GitHub, sarà automaticamente escluso dal campo di applicazione della Direttiva. Le piattaforme di nuova costituzione (start-up) saranno soggette a obblighi più leggeri rispetto a quelle consolidate purché abbiano meno di 5 milioni di utenti unici al mese e meno di 10 milioni di fatturato l’anno. Le restrizioni del diritto d’autore inoltre non si applicheranno ai contenuti utilizzati per l’insegnamento e la ricerca scientifica. La Direttiva dovrà essere recepita entro due anni dagli ordinamenti giuridici dei singoli Stati. Si rischia una sostanziale difformità di trattamento da Stato a Stato per i colossi della Rete. L’esatto contrario del tanto auspicato mercato unico digitale. L’impegno dei prossimi mesi su questo versante dovrà essere proprio quello di concertare, sul modello degli Stati generali dell’editoria, una soluzione legislativa in grado di interpretare e applicare al meglio lo spirito della Direttiva, adeguando la legislazione italiana alle esigenze del mondo della Rete, conciliando le aspettative dei produttori di opere creative con quelle dei distributori e dei fruitori.
Quale posizione assumerà il governo italiano in materia di copyright? Se lo chiedono in tanti, soprattutto tra gli editori e gli addetti ai lavori, perché da questa risposta dipenderà il futuro di tante aziende editoriali che producono contenuti creativi e sperano in un riequilibrio dell’economia digitale.
Il precedente governo giallo-verde si era espresso in maniera netta contro la direttiva, preannunciando che avrebbe fatto il possibile per attuarla in Italia nel modo più blando possibile, offrendo ai giganti della Rete possibili scappatoie per derogare a quei principi e per preservare al massimo la libertà di circolazione dei contenuti nel web.
Il nuovo esecutivo ha una visione diversa, non foss’altro perché al posto della Lega c’è il Pd, che sul punto ha una visione diametralmente opposta a quella del Carroccio. Gli europarlamentari della famiglia socialista, tra i quali ci sono anche i dem italiani, hanno votato a favore di quella direttiva e quindi dovrebbero coerentemente favorirne una piena e puntuale applicazione anche in Italia. Ciò prelude a uno scontro tra Pd e Cinque Stelle, con inevitabile braccio di ferro parlamentare su ogni singolo punto della legge di recepimento della direttiva. Intanto, però, gli editori italiani si augurano che non accada da noi quanto sta accadendo altrove.
In Francia, dove in questo mese entra in vigore la prima legge nazionale di recepimento della direttiva, Google non mostrerà più le anteprime degli articoli dai siti di informazione e di notizie ed è pronto a cambiare il modo in cui le notizie appaiono sui motori di ricerca, rimuovendo gli snippet e lasciando solo titolo e link al pezzo. Gli editori francesi dovranno decidere se permettere a Google di continuare a utilizzare gratuitamente i suoi contenuti, o rischiare di vedere diminuire il proprio traffico che arriva dalle anteprime del motore di ricerca.