L’esperimento prevedeva, durante un test di matematica, lo schieramento da un lato di docenti reali, dall’altro di MwpTutor, un sistema basato su GPT-4 progettato per fornire risposte corrette e guidare l’apprendimento in modo coerente. Un gruppo di 35 insegnanti esperti ha valutato ciascun dialogo secondo quattro criteri (coinvolgimento, empatia, scaffolding e concisione), decretando nell’80% dei casi la superiorità dell’AI. L’aspetto più sorprendente riguarda proprio l’empatia, qualità che il chatbot simula senza provare, ma in modo così convincente da ingannare anche gli osservatori più esperti.
La scelta di testare l’Intelligenza Artificiale su esercizi di matematica non è stata casuale: la matematica fornisce infatti un terreno neutro, privo di ambiguità, che ha permesso ai ricercatori di concentrarsi esclusivamente su come viene portato avanti l’insegnamento, piuttosto che su cosa viene insegnato.
L’obiettivo più ampio dell’indagine era però capire se, e come, l’AI possa adattarsi alle differenze individuali tra gli studenti. Ciascuno di noi, infatti, apprende in modo diverso e in questo scenario un tutor digitale potrebbe diventare un alleato prezioso per gli insegnanti, non per sostituirli, ma per supportarli nel difficile compito di raggiungere ogni studente nel modo più efficace possibile.
L’AI, per sua natura, non è soggetta a stanchezza, stress o frustrazione, è sempre disponibile e i suoi testi sono formalmente impeccabili, a differenza di quelli prodotti dagli esseri umani. Questa costanza contribuisce a creare un’illusione di empatia e professionalità che, pur non essendo reale, risulta estremamente convincente. Tuttavia, l’AI non è in grado di cogliere il contesto umano dello studente e, limitandosi a simulare la comprensione senza però viverla davvero, non può comprendere cosa significhi davvero essere in difficoltà.
Proprio per questo motivo, sebbene il tutor AI possa risultare più rassicurante agli occhi degli studenti, si presenta un rischio pedagogico concreto: l’abitudine alla pazienza inesauribile dell’AI potrebbe portare a una minore tolleranza verso i limiti umani degli insegnanti reali. È positivo che gli alunni imparino a porre domande e a verificare le informazioni, ma devono anche sviluppare spirito critico e comprendere che i modelli linguistici tendono ad assecondare l’utente, anche quando questo sbaglia, laddove invece un docente ha anche il dovere di opporsi, confutare e smontare false certezze.
È infine bene ricordare che lo studio ha misurato solo la percezione degli utenti, non l’effettivo impatto sull’apprendimento; la prossima fase del progetto prevede quindi di testare l’uso del tutor AI in ambienti scolastici reali per dimostrare l’effettiva utilità di questi strumenti.
S.B.
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