Sullo smart working il governo ha un piano: quello di arrivare a portare a termine un protocollo congiunto con le parti sociali entro il 31 dicembre, quando, in base alle norme vigenti, scadrà lo stato di emergenza e andrà a scadenza il regime semplificato per il lavoro agile.
Al termine del tavolo di confronto sul tema del lavoro agile, il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando ha annunciato: “Ho convocato le parti sociali, i rappresentanti delle imprese, i rappresentanti del sindacato per discutere insieme su come disciplinare lo smart working dopo la pandemia. Sappiamo che sarà utilizzato di più rispetto al passato ma sappiamo anche che durante la pandemia è stato utilizzato molto anche per ragioni legate all’emergenza sanitaria. Siamo in una fase in cui si andrà a definire un nuovo equilibrio nell’utilizzo dello smart working. Per questo ho ritenuto importante che le parti sociali incomincino un dialogo, un confronto in vista del superamento delle norme emergenziali che concluderanno la loro vigenza alla fine di questo anno. È importante stabilire alcuni principi e paletti entro i quali potersi muovere. Da un lato per favorire un intervento normativo del legislatore alla luce però di un confronto tra le parti sociali e dall’altro quello di favorire una contrattazione aziendale che definisca il nuovo modo in cui su può usare lo smart working sui luoghi di lavoro”.
Il ministro ha poi affermato: “La discussione è stata molto positiva e tutti coloro che hanno partecipato hanno dato la loro disponibilità a lavorare a un protocollo che sarà sottoposto alla valutazione di questo stesso tavolo entro metà mese. Credo sia un modo giusto per affrontare le novità: affrontarle insieme e monitorando insieme i cambiamenti che si possono produrre sui luoghi di lavoro. Non dobbiamo avere paura delle tecnologie ma non dobbiamo neppure subirle dobbiamo guidarle e dobbiamo farlo insieme con il massimo della partecipazione, base fondamentale della democrazia anche sui luoghi di lavoro”.
L’idea del ministero è, dunque, quella di portare avanti un percorso negoziale che eviti il proliferare di interventi normativi, e favorisca la definizione di regole uguali per tutti.
Non si tratterà, però, di schemi eccessivamente rigidi, ha spiegato il ministro, ma di un’indicazione dei contenuti minimi dell’accordo che sarà comunque individuale tra datore di lavoro e lavoratore. Non sarà più possibile quindi, con l’esaurirsi della fase d’emergenza, per il datore di lavoro agire in modo unilaterale, ma sarà necessario, come peraltro previsto per il pubblico impiego, un accordo tra aziende e lavoratore.
Il protocollo dovrà dare indicazioni di massima, secondo quanto esposto dal ministro, sull’orario di lavoro, chiarendo quale è il periodo di disconnessione, sulla parità di trattamento, sul luogo dove si potrà erogare la prestazione, sulla sicurezza del lavoratore e sulla protezione dei dati oltre che sulla dotazione informatica che dovrà essere assegnata al dipendente. Dovrà inoltre essere garantita l’alternanza tra lavoro a presenza e a distanza.
A livello normativo per ora esiste solo la legge del 2017 che ha introdotto lo smart working nel nostro ordinamento, dopo che nel 2015 la cosiddetta legge Madia ne aveva previsto una iniziale sperimentazione. Se il rientro in ufficio dei dipendenti pubblici è avvenuto il 15 ottobre scorso, nel privato dovrebbe cambiare tutto davvero solo a fine anno, nel caso lo stato d’emergenza non venga prorogato dopo il 31 dicembre 2021. Lo stato di emergenza è una sorta di cornice giuridica per il regime semplificato per lo smart working nel privato. Fino a Capodanno i datori di lavoro possono attivare lo strumento unilateralmente, senza l’accordo individuale previsto dalla “normale” legge ordinaria.
Nei prossimi mesi ai vari tavoli dei rinnovi dei contratti nazionali dei dipendenti pubblici si parlerà anche di smart working, ma bisogna per l’appunto attendere i nuovi contratti nazionali per avere regole di carattere generale. Fino ad allora farà fede l’intesa individuale tra dipendente e amministrazione. Le amministrazioni dovranno organizzarsi in base alle esigenze, poi attraverso il Piano integrato della Pa, che assorbe il Piano organizzativo del lavoro agile (Pola) e che andrà definito entro il 31 gennaio 2022, si dovrà prevedere, per le attività che si possono fare da remoto, che almeno il 15% dei dipendenti possa sfruttare tale l’opportunità.
Nel post-Covid ci saranno 4 milioni e 380mila smart worker che lavoreranno in maniera ibrida, in parte in presenza e in parte da remoto. Ben oltre 7 volte in più della normalità pre-Covid, quando erano appena 570mila. È quello che prevede l’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano. Lo smart working rappresenta ormai una tendenza inarrestabile.
A marzo del 2020, nel cuore della prima ondata, in Italia c’erano 6 milioni e 580mila persone in smart working. 1 milione e 850mila nella Pa, 1,5 milioni nelle microimprese, 1 milione e 130mila nelle Pmi e 2 milioni e 110mila nelle grandi aziende.
Questo numero si è ridotto in settembre 2020, quando è iniziato un parziale ritorno in presenza: nel post emergenza saranno 4 milioni e 380mila, dicono i dati dell’Osservatorio.
In questi quasi due anni di pandemia il 62% delle Pmi e il 98% della Pa ha permesso ad almeno una parte della popolazione aziendale di lavorare da remoto.
Un lavoratore su tre dichiara un miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza nel lavoro “in smart”, il 39% riesce a conciliare meglio vita e lavoro, mentre il 22% parla di un peggioramento.