di Diana Daneluz
Il mercato delle opere d’arte nel mondo è uno dei più floridi: sul piano degli investimenti, nel 2020,
il valore delle transazioni ha superato i 50 miliardi di euro. Le opere d’arte sono un bene rifugio che
attrae anche le organizzazioni criminali e in special modo quelle dedite al riciclaggio di proventi da
attività illecite. Se fino a pochi anni fa il mercato dell’arte si caratterizzava per una fortissima
dimensione emotiva, tipica del collezionismo, negli ultimi anni sembra distinguersi per la spiccata
aspettativa di aumento e di consolidamento del valore economico delle opere, a scapito di quello
artistico e culturale che, spesso, finisce per essere svilito. La trasparenza del mercato dell’arte è
stata drasticamente compromessa, prima da uno spregiudicato utilizzo del contante, poi dal
ricorso sempre più massiccio alle criptovalute, infine, dall’avvento del fenomeno dei Non Fungible
Token (NFT) la cosiddetta cripto-Art. Se a questo si aggiunge che sul piano giuridico le opere d’arte,
come beni mobili, non sono soggette a formali modalità per la cessione tra privati, ecco che cresce
il numero di opere letteralmente “sparite nel nulla”. Dall’esperienza operativa maturata sul fronte
dell’Antiterrorismo al servizio dei Reparti Scelti del Corpo della Guardia di Finanza, nonché
dall’attività di analisi svolta presso i Reparti Speciali della GdF e dall’impegno accademico in
qualità di Docente di Business intelligence all’Università degli Studi Niccolò Cusano, ha preso
spunto l’idea di Giuseppe Miceli, giurista esperto di antiriciclaggio. Da quell’idea è nato il suo
progetto di tutela del patrimonio artistico e culturale. Ce ne parla in questa intervista.
Professore, le opere d’arte sono un bene di incommensurabile valore. Secondo Lei è questo
l’elemento attrattivo da cui si genera l’interesse della criminalità organizzata verso le opere
d’arte?
Ha perfettamente ragione, dottoressa Daneluz: il nostro patrimonio artistico-culturale ha davvero
un valore incommensurabile. E ha, di nuovo, ragione quando individua nel valore dell’opera d’arte
l’elemento che genera le infiltrazioni mafiose nel mercato dell’arte. Insieme a due dei più grandi
professionisti al mondo, esperti di valutazione e analisi del rischio – e mi riferisco a Genséric
Cauntournet e Angela Pietrantoni, rispettivamente, presidente e CEO di Kelony® First Risk-Rating
Agency – ci siamo interrogati circa i criteri da applicare per la valutazione di un’opera d’arte. È
ovvio che il valore di un dipinto di Leonardo Da Vinci non possa essere il risultato del valore della
tela e dei materiali utilizzati e nemmeno dei costi per la conservazione e la tutela dell’opera contro
il logorio del tempo.
Per trovare una risposta al quesito abbiamo fatto ricorso all’analogia e ci siamo chiesti: quanto vale
un figlio? Una domanda che potrà apparirle assurda e, infatti, la nostra è una dimostrazione ab
absurdum o, almeno, così – ci piace pensare – l’avrebbe definita Euclide. Proprio come un figlio,
l’opera d’arte non ha un valore economico in sé, ma è la personificazione di un valore affettivo,
emotivo, culturale, genetico e della capacità di trasmettere a sua volta questi valori e dunque il
calcolo del suo valore richiede la stima del rischio di perderlo. Un’opera d’arte è in grado di
suscitare emozioni e ha dunque anche un valore soggettivo affettivo, individuale e collettivo, non
può essere ridotta a un cartellino con un prezzo, come invece vogliono farci credere i soggetti che
applicano una logica di mercato dell’arte in cui il prezzo finale non è correlato al valore bensì a
intenti speculativi o peggio di riciclaggio di denaro sporco.
Può indicarci i numeri del fenomeno del riciclaggio di proventi di attività illecite legato al
mercato dell’arte in Italia?
La forza attrattiva delle opere d’arte è fortissima e coinvolge, fortunatamente, un significativo
numero di appassionati collezionisti. Poco più di anno fa sono stato autore del primo volume
dedicato all’Antiriciclaggio applicato al mercato dell’arte e in quel libro ho dato conto di uno studio
effettuato da Deloitte dal quale emerge un dato incoraggiante: 9 operatori di settore su 10
affermano che i propri clienti acquistano arte e oggetti da collezione per passione, anche se con
una dichiarata attenzione agli aspetti legati all’investimento.
Dalla stessa analisi emerge pure un altro dato che deve farci riflettere: la popolazione di
acquirenti/investitori aumenterà del 43% entro il 2026 e il patrimonio movimentato, che nel 2016
ammontava a 1.600 miliardi di dollari, ammonterà a 2.700 miliardi entro il 2026. Si tratta di
numeri significativi che inglobano anche le movimentazioni di denaro la cui provenienza non
sempre risulta essere lecita.
Ecco perché, ogni volta che guardo a questi numeri il pensiero mi riporta alla frase di San Matteo,
peraltro, il Santo patrono della Guardia di Finanza che ho avuto l’onore di servire per cinque lustri.
“Miscere sacra profanis” ovvero “Mescolare il sacro col profano”, questa frase, scritta nel Vangelo
di Matteo, sintetizza quella spregevole commistione tra il sacro, il patrimonio artistico e culturale,
e il profano ovvero i frutti di attività illecite che vengono impiegati nel mercato dell’arte da parte
degli “Art Advisor” delle peggiori organizzazioni criminali. Le stime più recenti relative al contesto
nazionale indicano come il valore delle transazioni sul mercato delle opere d’arte nel corso del
2020 si sia assestato a 50,1 miliardi di euro e, di questo importo, il 10% circa deriva dal mercato
online delle opere d’arte, mentre il 18% – circa 9 miliardi – è risultato essere di provenienza illecita.
In altre parole, solo lo scorso anno, le organizzazioni criminali che hanno incassato miliardi di euro,
quale frutto delle loro attività illecite, sono riuscite a reimpiegare quel denaro sporco in attività
lecita, nel caso di specie nell’acquisto di opere d’arte che potranno tranquillamente rivendere a
terzi acquirenti, concludendo così quel flusso circolare che consente di trasformare il denaro
sporco (di per sé, privo di potere d’acquisto perché occultato) in denaro pulito, che emerge (in
quanto se ne conosce l’ultima provenienza e, quindi, dotato di potere d’acquisto) ed è, perciò,
spendibile.
Dai problemi alle soluzioni: il Suo progetto per la tracciabilità delle opere d’arte e della connessa
titolarità e che è capace, altresì, di assicurare la geolocalizzazione delle opere d’arte. Ce ne
parla?
L’analisi di questo scenario e l’attività operativa che ho svolto nel corso degli anni, prima presso i
Reparti Sceti della Guardia di Finanza e poi presso i Reparti Speciali del Corpo, hanno certamente
influenzato positivamente il concepimento di una ipotesi di soluzione sulle cui basi si fonda questo
progetto per la tracciabilità delle opere d’arte. La considerazione da cui sono partito nel disegnare
la struttura giuridica del progetto si fonda su quella che mi permetto di definire una lacuna
normativa: l’opera d’arte non è un bene mobile registrato.
Mi permetta di fare un esempio che mi consentirà di spiegare meglio ai Vostri lettori. Ipotizziamo
che Lei sia interessata ad acquistare la mia motocicletta. Per effettuare tale operazione di
compravendita dovremmo concludere un contratto sul quale siamo obbligati a indicare i dati
identificativi della motocicletta (targa, numero di telaio, cilindrata e altro) il prezzo e le modalità di
pagamento e, inoltre, dovremmo recarci presso un’agenzia specializzata che, a fronte
dell’esibizione del contratto di compravendita, del foglio complementare e della carta di
circolazione della motocicletta, nonché dei documenti di identità del proprietario/venditore e
dell’acquirente e dopo aver acquisito copia di tutta questa documentazione, si occuperà di trascrivere il passaggio di proprietà della motocicletta che verrà, da quel momento, abbinata al
suo nominativo e non più al mio, con tutto ciò che ne consegue sul piano della responsabilità civile
e in termini di assicurazione. Ebbene, agli stessi adempimenti burocratico-amministrativi ci
saremmo dovuti assoggettare se al posto della motocicletta avesse voluto acquistare la mia
autovettura o – sempre ipoteticamente – il mio cavallo. Tutti questi, infatti, sono qualificati dal
nostro legislatore come “beni mobili registrati” proprio perché la cessione di questi beni richiede
la registrazione dei dati della catena proprietaria su un pubblico registro, nel caso della
motocicletta il Pubblico Registro Automobilistico (il cd PRA).
Nessuno di questi adempimenti sarebbe richiesto, invece, se ci accordassimo sulla vendita di un
quadro di Modigliani o una scultura di Arnaldo Pomodoro o di una qualsiasi opera d’arte. A questo
punto, risulta evidente che un intervento normativo – che io auspico e di cui mi sono fatto
soggetto proattivo – finalizzato ad attrarre le opere d’arte all’interno della categoria giuridica dei
beni mobili registrati, rappresenterebbe il presupposto giuridico per la legittima tracciabilità delle
opere d’arte. In pratica, ciò che da tempo sostengo e che ho potato all’attenzione delle autorità
Antiriciclaggio è la necessità di istituire un Registro dei Titolari delle opere d’Arte.
Anche in questo caso, quello da me auspicato è un intervento legislativo affatto rivoluzionario. Chi
si occupa di Antiriciclaggio sa bene che la V direttiva AML prescrive ai Paesi membri di istituire e
adottare il Registro dei Titolari Effetti di società ed enti. Proprio su quel modello si potrebbero
basare questo registro pubblico che, al pari di quanto accade per il PRA riporti i passaggi di
proprietà di un’opera d’arte e il contenuto dell’accordo contrattuale che ne ha segnato il legittimo
trasferimento, e quindi le caratteristiche dell’opera, il suo valore e prezzo di mercato, i dati
identificativi del venditore e dell’acquirente e tutto ciò che consente di monitorare le
movimentazioni di denaro che sono sottostanti alle compravendite di opere d’arte.
La previsione di un obbligo di registrazione delle cessioni di opere d’arte conferirebbe la giusta
trasparenza al mercato dell’arte e – ne sono certo – inevitabilmente, il denaro sporco non
troverebbe più impiego per l’acquisto di un bene, dal momento che il soggetto acquirente
dovrebbe giustificare e documentare la provenienza di quel denaro e, oltretutto, sarebbe
obbligato a effettuare la trascrizione del proprio nominativo, in qualità di nuovo proprietario
dell’opera, su un registro pubblico, come tale, consultabile anche dalle autorità di polizia per le
indagini tributarie e finanziarie. A proposito di indagini finanziarie si è mai fatto caso che sulla
dichiarazione ISEE si deve dare conto del possesso di autovetture, di motociclette e, persino di
elicotteri e velivoli, ritenuti tutti indicatori di indice di ricchezza e nessuna evidenza invece viene
data all’eventuale possesso di opere d’arte che certamente superano il valore della mia auto? Si
tratta di una situazione paradossale.
Il Suo progetto si avvale di una tecnologia innovativa che alimenta un database al servizio
dell’arte e del design italiani. In certi casi, Lei prevede anche l’applicazione di un chip. In cosa
consiste esattamente questo meccanismo di tracciabilità che sembra essere rivoluzionario e
come funziona?
Il progetto si avvale in effetti di una tecnologia innovativa: chip, QRcode, database. Tuttavia – con
malcelato orgoglio – mi permetta di evidenziare che il valore “rivoluzionario” non risiede tanto nel
ricorso a una tecnologia che è in repentina evoluzione, quanto invece nell’idea stessa. Voglio dire
che l’opportunità che possiamo cogliere è quella di essere i primi a garantire tutta una serie di
cose: l’originalità dell’opera d’arte, la sua “immunità” rispetto al rischio di infiltrazioni criminali e,
inoltre, il corretto pagamento dei diritti di seguito che il legislatore ha previsto all’art. 144 della
legge sul diritto d’autore, a beneficio proprio dell’autore dell’opera che venga ceduta da una
galleria d’arte o da un privato, ma per effetto dell’attività di mediazione svolta da un mercante
d’arte. Tre sono, infatti, gli obiettivi che l’applicazione di questo ambizioso progetto consentirebbe di
realizzare: Anticontraffazione, Antiriciclaggio e Tutela del diritto d’autore.
La tecnologia su cui si basa il mio progetto di tracciabilità delle opere d’arte è una “tecnologia
istituzionale” perché elaborata e applicata dall’Istituto Poligrafico Zecca dello Stato. Del resto,
l’intero progetto ha una vocazione istituzionale, avulso da mire di natura commerciale né di
business. Il Poligrafico dello Stato applicherebbe sull’opera d’arte una sofisticata etichetta, una
sorta di bollino, frutto di tecniche di stampa integrate da innovativi elementi di sicurezza studiati
appositamente per facilitare il riconoscimento della loro autenticità e ripristinare una più
rassicurante distanza rispetto al pericolo di riproduzioni false.
Nel caso di opera in formato digitale, per intenderci i Non Fungible Token (NFT) di cui tanto si parla
– e, troppo spesso, straparla – anche il bollino sarà elaborato in formato digitale e sarà una sorta
di chip che resterà abbinato alla cripto-opera d’arte.
Le informazioni contenute e condensate in quel bollino o chip saranno invece convogliate, in
forma più estesa, su un database che auspico serva ad alimentare quel Registro dei Titolari di
opere d’Arte che spero troverà istituzione e impiego.
In questo modo, per effetto del tracciamento dei movimenti dell’opera d’arte si arriva anche al
monitoraggio delle sottostanti movimentazioni di denaro e, quindi, all’individuazione delle
fattispecie di reato riciclaggio o autoriciclaggio e all’identificazione degli autori di tali reati.
Invece, l’opportunità di geolocalizzare l’opera d’arte è un’evoluzione dell’idea originaria che ho
inserito nel progetto per rispondere a esigenze che sono emerse dal proficuo confronto che ho
aperto da tempo con gli operatori del mondo dell’arte, i quali hanno manifestato l’esigenza di
“seguire” i movimenti delle opere che sono soliti concedere in noleggio a musei o enti vari, così da
ottenere risultati in termini di controllo e vigilanza sul bene stesso.
Ovviamente, in fase di applicazione sarà necessario considerare i profili che attengono alla tutela
dei dati personali e al rispetto della privacy, ecco perché ritengo sarà necessaria una attenta
valutazione da parte dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.
Qual è stata la reazione alle Sue proposte da parte delle Autorità competenti, penso all’Unità di
Informazione Finanziaria, ai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, al Nucleo
Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, alla Direzione Investigativa Antimafia, al
Ministero Economia e Finanze, al Ministero della Cultura e agli altri eventuali organismi aventi
competenza nel settore?
Con alcuni di questi enti il dialogo è in fase di avvio e sono fiducioso che sapranno cogliere quella
vocazione istituzionale cui ho fatto riferimento e di cui è intriso il progetto e, prima ancora, l’idea.
Ho molto apprezzato invece l’interesse al progetto e agli obiettivi che hanno voluto manifestare
direttamente alla mia attenzione alcuni rappresentanti parlamentari, specialmente appartenenti
alla Commissione Cultura sia della Camera dei Deputati che del Senato della Repubblica. Sono
particolarmente grato a quei parlamentari che hanno dichiarato di voler essere tra i primi firmatari
della proposta di legge su cui stiamo lavorando e che spero possa passare quanto prima sul tavolo
del Parlamento. Proprio per agevolare il confronto tra tutte le parti ho accettato la proposta di
Sergio Silvestri, direttore della Scuola Italiana Antiriciclaggio & Compliance, di presiedere
l’Osservatorio Nazionale Antiriciclaggio per l’Arte. Sono convinto che in quella sede qualificata
potrà attivarsi un confronto proattivo e decisivo per il miglior esito del progetto.
Come sta affrontando il tema della prevenzione e del contrasto del riciclaggio del denaro sporco
e conseguente finanziamento del terrorismo l’Unione Europea?
Il tema della prevenzione e del contrasto del riciclaggio del denaro sporco, così come quello
connesso al finanziamento del terrorismo è da sempre tra le massime priorità per l’Unione Europea. Anche in quella sede l’Italia gioca un ruolo di primo piano. Il modello italiano di
Antiriciclaggio continua a essere un esempio per i partner europei che guardano ancora con
rispetto a quelle tecniche di indagine finanziarie che il compianto Giudice Giovanni Falcone aveva
definito con l’ormai nota espressione “Follow the money”.
Il Suo interesse per i temi dell’antiriciclaggio è confluito anche in una solida attività editoriale.
Vuole raccontarcela?
È vero. Ho scritto il mio primo saggio negli stessi giorni in cui l’Italia approvava il decreto legislativo
n. 90 del 2017 che recepiva la IV direttiva Antiriciclaggio e, poi, sull’onda della V direttiva, ho
pubblicato con lo stesso editore la collana dal titolo “Atlante dell’Antiriciclaggio”. Un’opera che si
compone di dieci volumi settoriali, ciascun volume dedicato a una differente categoria di soggetti
obbligati al corretto adempimento delle regole Antiriciclaggio. Si tratta di un’analisi giuridico-
operativa che, proprio come una “mappa”, vuole agevolare il percorso dei professionisti e degli
operatori bancari verso la compliance. Da qui il nome della collana che richiama l’atlante
geografico, anche se qualcuno mi ha fatto notare il riferimento al titano Atlante che nella
mitologia greca reggeva l’intero globo terrestre. Un complimento che ho accettato con
soddisfazione ed entusiasmo, al punto da poter annunciare che sono in fase di pubblicazione altri
due testi, entrambi opere collettanee, in cui sono stato chiamato a scrivere il mio contributo.
Da docente ed esperto a Responsabile dell’Osservatorio Nazionale Antiriciclaggio per l’Arte, che
ha il dichiarato obiettivo di riunire intorno ad un tavolo rappresentanti delle diverse Autorità
competenti e tutti i soggetti che operano nel mondo dell’Arte. Da dove nasce il Suo interesse per
l’Arte al cui servizio ha poi messo in campo questo ed altri progetti?
Penso che l’interesse per l’arte faccia parte del DNA umano e che sia pronto a manifestarsi come
risposta persino al più piccolo degli stimoli. Nel mio caso, posso dire di essere stato fortunato.
Sono cresciuto in una famiglia che ha sempre saputo valorizzare la sensibilità all’arte, in ogni sua
espressione, anche incentivandone la passione e lo studio. Il detonatore di questa passione è per
me avere un fratello musicista, un apprezzato pianista e direttore d’orchestra che, con la
bacchetta tra le dita è capace di scatenare l’interesse e la passione per la musica del pubblico dei
più importanti teatri del mondo e che è riuscito a conquistare l’apprezzamento del nostro amato
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, persino in un contesto così distante dal nostro,
come quello di un teatro in Vietnam.
Quale potrebbe essere il primo compito del neonato Osservatorio?
Il direttore Sergio Silvestri ed io siamo dell’avviso che il primo obiettivo dell’Osservatorio Nazionale
Antiriciclaggio per l’Arte debba essere senz’altro quello di disegnare una struttura condivisa del
progetto in corso e di agevolare così l’iniziativa legislativa che lo possa realizzare. Siamo
altrettanto certi che la condivisione di qualunque progetto trovi come suo presupposto una
adeguata formazione e conoscenza del contesto in cui si opera e perciò il contributo della Scuola
Italiana Antiriciclaggio & Compliance ha già sviluppato programmi mirati per gli operatori del
mondo dell’arte che devono adeguare la propria attività alle nuove regole antiriciclaggio.
L’importanza del confronto e dell’analisi condivisa. Proposito valido sempre, ma quanto nel
contesto del contrasto al riciclaggio nel mondo del patrimonio artistico e culturale?
Quando si parla di arte e cultura, il confronto e la condivisione di intenti è fondamentale e credo
debba essere naturale. Arte e Cultura sono per natura beni appartenenti alla collettività ed è in
virtù della condivisione di tali valori che si connota un contesto e una comunità.