L’intento dichiarato è quello di proteggere i più giovani da contenuti pericolosi, segnalando in tempo reale eventuali segnali di disagio, come pensieri autolesionistici o tendenze suicide. Nonostante l’iniziativa si ponga quindi un obiettivo nobile, alle sue spalle si celano diverse criticità: la sorveglianza potrebbe diventare invasiva, il ruolo di OpenAI sempre più simile a quello di un giudice emotivo e la reale autonomia degli adolescenti messa seriamente in discussione.
È significativo notare come per anni i chatbot siano stati progettati per massimizzare l’engagement, anche nei confronti dei minori, arrivando talvolta ad assecondare pulsioni autodistruttive o sessualmente ambigue. Oggi, però, a seguito di alcuni casi drammatici, le stesse aziende stanno intervenendo con misure restrittive e più severe.
L’opinione più condivisa è che il cambiamento risulti essere più reattivo che preventivo, più orientato a proteggere l’immagine e il business che a costruire un reale ecosistema sicuro.
Il nuovo parental control prevede infatti collegamenti tra gli account di genitori e figli, filtri avanzati su contenuti sessuali o violenti, disattivazione della memoria del chatbot e notifiche in caso di comportamenti a rischio. Tutte misure sviluppate con il contributo di esperti e accompagnate da una pagina dedicata ai genitori con consigli e materiali educativi; tuttavia, l’efficacia di queste soluzioni e il loro impatto sulla privacy e sulla crescita emotiva dei giovani suscitano perplessità.
Tra i potenziali rischi c’è il fatto che la tecnologia possa trasformarsi in un “occhio digitale” onnipresente, capace di intercettare ogni sfumatura del linguaggio e di attivare notifiche senza contesto, generando falsi allarmi o, al contrario, mancando segnali critici. Ancora più problematico è poi il caso in cui il genitore, destinatario delle notifiche, sia proprio l’elemento da cui il minore cerca di fuggire o proteggersi.
È importante considerare anche il rischio che un controllo eccessivamente restrittivo possa indurre gli adolescenti a spostarsi verso piattaforme percepite come più libere, ma in realtà meno sicure. In questo modo, il tentativo di tutelarli potrebbe paradossalmente aumentare la loro esposizione a pericoli ancora maggiori.
Il problema non risiede quindi nell’introduzione o nella non-introduzione del parental control, ma nel ‘come farlo’. Sarà necessario trovare un equilibrio tra protezione e rispetto della crescita emotiva, tra sicurezza e libertà, e soprattutto sarà fondamentale agire con coerenza. Non si può infatti parlare di tutela dei minori mentre si continuano a progettare chatbot pensati per mantenerli agganciati allo schermo.
S.B.
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