Recentemente, Bloomberg ha pubblicato un report in cui ha esplicitato l’esistenza di una pratica poliziesca che si poggia sui dati di geo-fencing accumulati dalle varie compagnie tecnologiche. Più semplicemente, le autorità costringono le aziende a comunicare quanti e quali dispositivi sono transitati in una specifica area geografica durante un lasso di tempo definito. Coloro che si trovano nel punti di interesse finiscono spesso con l’essere indagati, poco importa che la loro presenza in loco fosse innocente o casuale.
Una simile pratica deve necessariamente esplorare in maniera indiscriminata le informazioni personali di soggetti estranee ai fatti, pertanto viene formalmente considerata un’extrema ratio da utilizzare nei casi di assoluta necessità. Tuttavia, la sua immediatezza sta facendo sì che questa modalità sia scelta fin troppo spesso come via preferenziale ancor prima che tutte le altre opzioni si siano dimostrate inefficaci. Google ha rivelato di aver ricevuto 21.000 mandati di richiesta per i dati di geo-fencing dalle autorità Usa nel periodo compreso tra il 2018 e il 2020. Stando a quanto riporta Bloomberg, solamente nel 2022 le richieste sono lievitate a 60.472.
È opportuno sottolineare come le Big tech non stiano infrangendo la legge, eppure potrebbero compiere scelte consapevoli al fine di prevenire pratiche che rasentano l’abuso di potere. Un esempio viene fornito da Apple, la quale ha deciso di non conservare questo genere di informazioni tanto care alle autorità anteponendo gli interessi degli utenti a quelli aziendali. Google, al contrario, non ha intenzione di seguire questa strada poiché la commercializzazione delle inserzioni legate a questo genere di dati rappresenta l’80% del suo fatturato.
Il rapporto sulla trasparenza pubblicato da Google rivela che negli ultimi cinque anni le autorità italiane hanno inoltrato circa 1.200 richieste ogni semestre per ottenere informazioni la cui natura non è mai opportunamente specificata. Tuttavia, gli europei possono comunque consolarsi sapendo che, almeno per il momento, il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) ostacola l’utilizzo delle pratiche di geo-fencing. Per accedere a questo tipo di informazioni, gli investigatori dovrebbero ricevere il consenso esplicito del consumatore.
F. S.