Per il mercato del digital marketing si è aperta una fase di transizione da una realtà dominata dai cookie a una quasi del tutto priva di essi.
I cookie nascono nei primi anni ‘90 e sono utilizzati dai siti web come strumento per archiviare, riconoscere e recuperare le informazioni sugli utenti, con lo scopo di fornire un’esperienza web più semplice e personalizzata. In particolare, i cookie di terze parti sono impostati da un sito web diverso da quello che si sta attualmente visitando. Alcuni inserzionisti pubblicitari utilizzano questo tipo di cookie per tenere traccia delle visite dell’utilizzatore su tutti i siti nei quali offrono i propri servizi, con il cosiddetto tracciamento intersito.
Ma da qualche anno ha iniziato a delinearsi il tramonto dei cookie di terza parte, anche perché il diffuso uso dei cookie non è sempre a norma:
- Nel 2017 Apple ha disabilitato i cookie di terze su Safari con il lancio dell’Intelligent Tracking Prevention di Apple;
- Nel 2019 anche Firefox si è mosso nella stessa direzione, inserendo un blocco cookie da default;
- Nel 2021 Google ha dichiarato di voler dismettere l’utilizzo di cookie di terza parte su Chrome entro il 2023: questo ha segnato la vera e propria svolta, perché Chrome ha una market share globale del 69%.
Per i Big Tech (Google, Amazon, Twitter, Facebook, Apple, Microsoft), che hanno già tutte le funzionalità tecniche che servono per poter erogare la pubblicità e continuare a farlo, tutto ciò non avrà grande impatti; a essere colpiti saranno i player che operano con tecnologie fondate sull’utilizzo di cookie di terza parte (es. retargeting, attribution modelling, profilazione su base cookie, ecc). La questione non riguarda solo gli advertiser, ma colpisce anche il lato publisher e in particolare i publisher che erogano annunci personalizzati, spesso tramite dati e tecnologie terze, che potrebbero essere notevolmente limitati in questa loro capacità.
Prende dunque il via una intensa ricerca di alternative che possano garantire la stessa analiticità commerciale. Le principali proposte sul tavolo, non tutte ancora mature e disponibili, sono le seguenti:
- Raccolta diretta dei dati: sarebbe un ritorno alla forma tradizionale di richiesta dei dati all’utente, direttamente ed esplicitamente per fini di marketing, per esempio sugli interessi d’acquisto.
- Cookie di prima parte: l’uso dei cookie del solo publisher nativo, quello del sito visitato dall’utente. Il vantaggio sarebbe chei dati di prima parte possono essere più corretti, precisi e affidabili rispetto a quelli di terzi, sono liberamente customizzabili dal publisher stesso. Dall’altro lato, non si potranno raccogliere grandi quantità di dati in maniera facile e immediata, e sarà necessario pianificare nel medio/lungo termine. L’utilizzo dei cookie di prima parte dovrà sempre avvenire nel rispetto delle normative fondanti come la Direttiva ePrivacy (n. 2002/58 attuata nel Codice privacy nazionale) e la sua corretta implementazione, specie quanto ai requisiti del consenso e informativi , precisati anche dal Garante nelle sue linee guida sui cookie applicabili dal 10 gennaio 2022;
- Privacy Sandbox di Google: è uno strumento che mira a creare tecnologie web che proteggano la privacy delle persone online e offrano alle aziende e agli sviluppatori gli strumenti per costruire attività digitali per mantenere il web aperto e accessibile a tutti.
- Uso di identificatori (ID): non solo i cookie sono in grado di identificare l’utente per inviare annunci targettizzati: un fornitore di ID può chiedere un consenso specifico all’utente per crearne uno specifico ID, condivisopoi dal fornitore con vari terzi per la pubblicità diretta proprio a quell’utente; per esempio, Google sta promuovendo una nuova funzionalità di Ad Manager, detta ” Pubblisher Provider Identifiers” (PPIDs). Anche le e-mail possono essere usate come base da cui generare degli identificatori; in questo caso naturalmente serve un consenso specifico dell’utente. La liceità di questa tecnica è ancora da verificare, , ricordando le preclusioni del GDPR (Considerando 43) e alla luce delle possibilità aperte dalla Direttiva 2019/770;
- Browser fingerprinting: è una tecnica subdola di tracciamento e identificazione che permette di dedurre chi sia l’utente in base alle impostazioni del browser e altri dati tecnici; il problema principale è che funziona in modo occulto e tecnicamente è quasi sostanzialmente impossibile opporsi – almeno attualmente – alla sua azione, a differenza dei cookie.
- Targeting contestuale: semplicemente, vengono visualizzati annunci pertinenti alla tipologia di sito e contenuto visitati dall’utente, sfruttando tag e keywords associati.