Attraverso un’app sviluppata dal Ministero della Pubblica Sicurezza (MPS) verrà istituito un ID digitale obbligatorio per l’accesso a tutte le piattaforme Internet. Sebbene l’iniziativa venga presentata come una soluzione per rafforzare la sicurezza informatica e tutelare i dati personali, sono emerse numerose preoccupazioni a livello internazionale, specialmente per le sue implicazioni sulla libertà di espressione, sulla privacy e sui diritti umani.
Il nuovo sistema prevede la registrazione con carta d’identità e riconoscimento facciale, centralizzando così la verifica dell’identità sotto l’autorità del MPS e dell’Amministrazione del Cyberspazio della Cina (CAC). L’obiettivo dichiarato dal Governo è quello di garantire un “giubbotto antiproiettile” per le informazioni personali dei cittadini, rafforzando la fiducia nel digitale e promuovendo l’economia dei dati.
Tuttavia, molti esperti e organizzazioni, tra cui il Network of Chinese Human Rights Defenders (CHRD) e ARTICLE 19, denunciano il rischio di una sorveglianza pervasiva, una drastica riduzione dell’anonimato e l’inasprimento della repressione contro attivisti, giornalisti e dissidenti.
L’approccio cinese si distingue nettamente da quello adottato in altri contesti globali, come quello europeo in cui viene promosso un modello equilibrato attraverso il regolamento eIDAS 2.0, che punta a un’identità digitale volontaria e con forti garanzie per la protezione dei dati. L’Italia, allineata a quest’ultima visione, ha infatti già implementato SPID e CIE, strumenti che garantiscono l’accesso sicuro ai servizi pubblici senza un controllo diretto delle forze dell’ordine.
Questa nuova misura va oltre i confini della Cina continentale, estendendosi a Hong Kong, Macao e Taiwan, sollevando così interrogativi legali e preoccupazioni circa la repressione transnazionale.
Il sistema inoltre rafforza ulteriormente il modello dei “nomi reali” già introdotto nel 2017, rendendo sempre più difficile la navigazione anonima, strumento essenziale per giornalisti, attivisti e cittadini che desiderano esprimersi liberamente in rete.
Secondo CHRD e ARTICLE 19 questo nuovo sistema viola gli articoli 12 e 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e l’articolo 17 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ICCPR). Anche se la Cina non ha ratificato l’ICCPR, le sue disposizioni rappresentano norme consuetudinarie che dovrebbero comunque vincolare gli Stati membri dell’ONU.
S.B.