Questo è quanto emerge dall’ultimo rapporto del Codice di condotta Ue sulle pratiche contro la disinformazione. L’Italia è al primo posto per contenuti rimossi dai social di Meta, seguita da Germania (con 22.000 post rimossi), Spagna (16.000), Paesi Bassi (13.000) e Francia (12.000). Molti hanno commentato il dato sostenendo che è il risultato di una maggiore disinformazione presente nel nostro Paese, ma il punto nodale del discorso rimane capire chi ha il potere di stabilire la veridicità di un’informazione e se tale prerogativa non sconfini in una pratica di censura volta a limitare la circolazione di determinati contenuti.
Con il Digital services act (Dsa) – il regolamento dell’Ue sui servizi digitali – la Commissione europea avrà ancora più potere sulle piattaforme e sui motori di ricerca. Infatti potrà multare quelle società che non rispettano i criteri stabiliti per rimuovere i contenuti falsi o illegali. Multe che potranno arrivare fino al 6% del fatturato dei colossi del web: il che incentiva le piattaforme a rimuovere il maggior numero di contenuti possibile per evitare di incorrere in sanzioni.
I dati dei rapporti presentati dalle aziende digitali coprono un periodo di sei mesi e l’ultima serie di relazioni evidenzia come l’Italia sia il primo Paese nella diffusione di presunte “fake news”. Ancora, in Italia si registra il maggior numero di rimozioni di banner pubblicitari da Facebook e Instagram per violazione della politica sulla disinformazione dell’Ue. Sono stati rimossi, infatti, oltre 3.600 banner, più di Polonia (3.500) e Germania (2.900).
Il rischio è quello di creare una sorta di orwelliano “ministero della verità” dove è attribuito alle piattaforme e ai motori di ricerca il diritto di discernere le notizie vere da quelle false, col risultato di indirizzare l’informazione verso un’unica direzione.
F. S.