Mentre l’Intelligenza Artificiale avanza, permane chi vorrebbe fermare, o almeno rallentare, le regole che ne pongono i limiti.
Negli Stati Uniti, le Big tech hanno provato a spingere una moratoria di dieci anni sulle norme AI: un disegno di legge ribattezzato con ironia “Big, beautiful bill”. Ma il piano è saltato all’ultimo minuto, bloccato da una parte dello stesso partito repubblicano. A pesare c’era il rischio di invalidare leggi statali già in vigore, come l’Elvis Act in Tennessee, nato per proteggere voce e immagine degli artisti.
Dall’altra parte dell’Atlantico, la trama si complica. L’AI Act europeo, approvato nel 2023, è diventato bersaglio di una campagna trasversale che chiede una pausa, lo “stop the clock”. Una lettera firmata da 44 aziende europee, molte delle quali fino a ieri assenti dal dibattito, suggerisce una manovra orchestrata per rallentare l’attuazione del regolamento. Ma Bruxelles non arretra: nessuna sospensione, nessuna deroga. I primi obblighi per i modelli di AI generali scatteranno ad agosto 2024, quelli per i modelli ad alto rischio nel 2026.
Il vero campo minato però è il copyright. Il tavolo europeo per definire il codice di condotta condiviso è ancora bloccato. Le regole dell’AI Act intanto valgono già: chi sviluppa AI generativa deve dichiarare se e quali contenuti protetti ha usato per addestrare i modelli.
E il Parlamento europeo rilancia con una proposta: niente copyright per gli output generati da AI (perché manca l’autore umano), trasparenza su cosa è stato generato da un algoritmo, e una remunerazione giusta per i creatori. Serve anche un nuovo quadro legale per regolare l’uso dei contenuti da parte dell’AI.
Uno studio commissionato da IFPI rafforza questa posizione: i detentori di copyright devono poter scegliere, essere pagati equamente e negoziare liberamente con chi sviluppa i modelli. Le licenze obbligatorie rischiano solo di svantaggiare i creativi, soprattutto nel settore musicale, dove gli investimenti sono alti e i guadagni incerti.
Nel caos regolatorio, una cosa è certa: se l’AI è una rivoluzione, allora anche i diritti devono evolversi. Ma attenzione: dietro la parola “innovazione” si nasconde spesso la pretesa di accesso illimitato. E se tutto è gratis, qualcuno sta già pagando.
A.C.