- Quali sono le ragioni ispiratrici di questo volume?
Il libro è dedicato agli ultimi, agli invisibili. Per i soggetti più vulnerabili della nostra società il diritto alla privacy vale, o almeno dovrebbe valere, più che per tutti gli altri ma, in una società imperfetta come quella nella quale viviamo, l’eguaglianza sembra continuare ad essere un’eterna ambizione, una meta da raggiungere più che una condizione di vita. In tale contesto, la privacy è spesso l’ultimo baluardo di libertà, l’ultima difesa prima di essere discriminati per come si è, un diritto-strumento per l’esercizio degli altri diritti e libertà. La riflessione ci ha guidato nella stesura del libro ed è una frase del Prof. Stefano Rodotà, primo presidente del Garante per la protezione dei dati personali italiano ma, prima ancora, padre del diritto alla privacy moderno in Europa e, forse, nel mondo intero: «Noi pensiamo di discutere soltanto di protezione dei dati, ma in realtà ci occupiamo del destino delle nostre società, del loro presente e soprattutto del loro futuro».
- Ci sono state evoluzioni nella tutela della privacy degli ultimi o la situazione è molto critica? E all’estero ci sono esperienze significative da questo punto di vista?
Ci sono delle situazioni senz’altro critiche che raccontiamo nel libro, ma tante altre se ne pongono di continuo in giro per il mondo. C’è anche da dire che livello di protezione attuale è superiore rispetto a quello di ieri almeno perché ciascuno di noi – anche se non addetto ai lavori – oggi, anche grazie al GDPR, ha una maggiore consapevolezza in materia di privacy e dei suoi strumenti di tutela. Ovviamente la strada è ancora lunga ma, credo che anche a prescindere da qualsiasi valutazione di ordine tecnico-giuridico, proprio al GDPR vada riconosciuto il merito di aver contribuito alla diffusione di una cultura di base sulla protezione dei dati personali. Anche a guardare al GDPR in termini tecnici occorre riconoscere che ha rappresentato un giro di boa significativo in termini di rafforzamento della tutela specie nell’ecosistema digitale e, in generale, in quello delle nuove tecnologie. Un esempio significativo all’estero citato nel libro che vorrei riproporre nella prospettiva della tutela dei minori è quello di Cayla, la bambola che legge le fiabe della buonanotte, ti tiene compagnia mentre sfogli l’album dei ricordi. Per molte famiglie in giro per il mondo, la bambola rappresentava semplice giocattolo. Peccato che questo smart toy, questo giocattolo intelligente è stato bollato dalla Federal Network Agency tedesca come spia, persino come un apparato di spionaggio illegale e ne ha ordinato il ritiro dal mercato a causa dell’incredibile quantità di dati personali. Come se non bastasse, chiunque con un semplice smartphone poteva prenderne il controllo parlare o ascoltare i nostri figli da pochi metri di distanza.
3.Quali sono le categorie meno tutelate?
Troppo facilmente ci dimentichiamo di bambini, detenuti, malati, extracomunitari, lavoratori della Gig Economy, malati, senza tetto, diversamente abili, LGBT, anziani. Sono alcune delle persone cui abbiamo pensato con la pubblicazione del libro. L’elenco purtroppo non è esaustivo tale è mola di episodi nei quali vengono negati diritti a persone in stato di difficoltà, costrizione, debolezza, necessità.
- Sempre sul fronte degli ultimi, non si può fare nulla per indurre le vittime di violazioni della privacy a denunciare più sistematicamente tali violazioni?
Intanto è importante parlare, confrontarsi, discutere di questi problemi per aumentare la consapevolezza di tutti su tali delicati argomenti e sull’importanza della denuncia in caso di violazioni. Da un punto di vista degli strumenti, a titolo di esempio voglio ricordare come il Garante per la protezione dei dati personali abbia attivato nel 2021 un progetto pilota, con Facebook e Instagram, per garantire a chi teme di diventare vittima di revenge porn di impedire l’upload del video o della foto che pensa possano essere caduti nelle mani sbagliate. E, più di recente, Governo e Parlamento hanno attribuito allo stesso Garante per la privacy una serie di incisivi poteri preventivi per ordinare ai gestori delle piattaforme di condivisione di contenuti di non consentire ai loro utenti di caricare questo o quel filmato. Uno strumento preventivo, l’unico possibile se si vuole davvero scongiurare il rischio che non ci sia più nulla da fare per far tornare privato ciò che era nato per restare tale, poi però diventato pubblico. La legge sulla privacy è dalla parte degli ultimi, dei più vulnerabili anche in questo caso. Sempre per rimanere nell’esempio, c’è anche, infine, un altro profilo educativo e culturale che va affrontato con determinazione: bisogna insegnare il “sesso sicuro” anche nella dimensione digitale, insegnare a adottare accortezze capaci di limitare il rischio che qualcuno si ritrovi in mano un nostro video a sfondo sessuale e possa farne ciò che ritiene.
- Che ruolo può avere la formazione delle nuove generazioni nel rafforzamento della cultura della tutela della privacy nel nostro Paese?
Il ruolo è cruciale. Lo ha affermato con molta chiarezza, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio di fine anno, con il quale ha acceso un faro importante lungo la linea dell’orizzonte prossimo venturo in cui ovviamente le giovani generazioni sono protagoniste: “La quantità e la qualità dei dati, la loro velocità possono essere elementi posti al servizio della crescita delle persone e delle comunità. Possono consentire di superare arretratezze e divari, semplificare la vita dei cittadini e modernizzare la nostra società. Occorre compiere scelte adeguate, – ha concluso il Presidente della Repubblica – promuovendo una cultura digitale che garantisca le libertà dei cittadini”. Queste sono gli impegni e le sfide che le giovani generazioni avranno sempre più di fronte.
- Secondo lei i genitori usano i social network nel rispetto della privacy dei loro figli?
Non sempre, anche in questo caso c’è molto da fare. Spesso i genitori non si rendono fino in fondo conto che pubblicare online, ad esempio, le foto dei figli tratte da scene di vita quotidiana equivale ad aprire autentici scrigni stracarichi di dati personale straordinariamente preziosi per truffatori e criminali di ogni genere. In un report, la Barclays Bank suggerisce che con i dati che chiunque può raccogliere dalle foto, dai video e dalle informazioni condivise sui social di un bambino di 11 anni, sarà possibile rubare l’identità a quel bambino, divenuto adulto, fingersi lui stesso per svuotargli il conto in banca, accederei ai suoi dati personali, alla sua corrispondenza digitale. Si stimano in oltre sette milioni, i furti di identità che da qui al 2030 verranno perpetrati con lo sharenting una contrazione di share (condividere) e parenting (genitorialità), espressione con la quale di definisce la sistematica esibizione dei figli a mezzo social e in oltre 800 milioni di dollari il bottino delle frodi informatiche rese possibili a causa di questo fenomeno.
- Sul fronte dell’autotutela, quali consigli darebbe agli utenti più fragili della Rete affinchè proteggano maggiormente i loro dati personali?
Nel 2022 gli utenti di Internet sono stati oltre cinque miliardi, un terzo dei quali bambini e adolescenti, categorie tra le più esposte e fragili. Alla più parte di noi, probabilmente, sembra normale ma non lo è. Internet non è stata disegnata, progettata e sviluppata per i più piccoli, per i più giovani, con la naturale conseguenza sulla quale raramente ci fermiamo a riflettere che non tutto che è online, è per tutti, ovvero adatto a utenti di ogni età. Bisogna invertire la rotta. Dovremmo fare lo sforzo di immaginarci Internet come un enorme parco di divertimenti – pur consapevoli che è molto più di questo – nel quale ci sono attrazioni per tutti e attrazioni riservate a chi ha almeno una certa età o una certa altezza. Se chi è più piccolo o più basso sale su un trenino le cui cinture di sicurezza sono progettate per trattenere al sedile chi è più adulto o più alto, sfortunatamente, non c’è niente che si possa fare per garantirgli un giro di giostra sicuro. La più parte delle piattaforme e dei servizi digitali è espressamente riservata a un pubblico più o meno adulto, tredici anni l’età minima più diffusa, quella, ad esempio, per usare TikTok, Instagram, Whatsapp o YouTube. La dimensione digitale è ingorda di dati personali, li fagocita e accumula, li processa attraverso soluzioni tecnologiche sempre più evolute che consentono di ricavare profili sempre più affidabili di ogni utente per ricavarne conoscenza sui nostri gusti, le nostre inclinazioni, i nostri pregi, i nostri difetti, persino le malattie delle quali, magari, soffriamo senza saperlo, malattie che, ormai, in taluni casi, possono essere rivelate semplicemente lasciando che un algoritmo passi al setaccio una foto dei nostri occhi o di un altro qualsiasi particolare del nostro corpo. Questa quantità di conoscenza può letteralmente cambiare la vita dei nostri figli, innanzitutto perché rende manipolabile da chi la possiede ogni genere di loro scelta di consumo, politica, religiosa, culturale, personale come professionale. Ma anche perché può – e, soprattutto, potrà – essere usata da assicurazioni o banche per chiedere loro di pagare un premio più alto o negar loro un finanziamento, da un datore di lavoro per non assumerli o da un professore per farsi una certa idea su di loro.