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Home Libertà d'informazione

Più investimenti nella giustizia digitale

by Redazione
24 Novembre 2020
in Libertà d'informazione, Tecnologie
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Il magistrato Fabio Roia, appena nominato Presidente Vicario del Tribunale di Milano, analizza i cambiamenti in atto nel processo civile e penale a seguito della massiccia introduzione delle tecnologie durante la fase della pandemia e formula alcune proposte per migliorare il funzionamento della macchina giudiziaria.

 

Come commenta la ripartenza della macchina giudiziaria dopo il primo lockdown?

L’attività giudiziaria, che è ovviamente un servizio essenziale, è stata disciplinata in modo diverso dal legislatore dell’emergenza. Durante la c.d. prima ondata della pandemia (marzo 2020) è stata introdotta per via normativa una sostanziale sospensione per tutti i procedimenti con esclusione di quelli c.d. a trattazione necessaria che riguardavano, nell’area penale, i processi con imputati in stato di custodia precautelare o cautelare e quelli in relazione ai quali vi era una assoluta necessità dell’assunzione della prova o comunque per i quali vi era una richiesta della parte di trattazione basata su motivi di urgenza. Nell’area civile venivano trattati soltanto le richieste di natura cautelare e le azioni in materia di famiglia che riguardassero l’adozione di provvedimenti urgenti soprattutto nell’interesse dei figli minorenni. Ai presidenti dei Tribunali era stato delegato una sorta di potere paranormativo sul piano dell’organizzazione concreta delle attività di udienza che comunque non potevano che fare riferimento ai criteri di trattazione prioritaria previsti dall’art. 132 bis disp. att. c.p.p.   In questa seconda fase non è stato replicato lo stesso schema. La regola è che i processi devono essere celebrati anche se con modalità (per talune situazioni processuali) da remoto (per esempio nel penale per i procedimenti in camera di consiglio) o, per quanto attiene all’area civile, anche mediante trattazione scritta e non in presenza. Il tentativo del legislatore è quello di alleggerire la presenza nei palazzi di giustizia mantenendo il sistema ad un rendimento di definizione medio e quindi puntando su una telematizzazione delle procedure che però scontano una organizzazione passata ispirata e pensata, penso al processo penale, per il cartaceo.

 

L’emergenza coronavirus ha dato una forte spinta alla digitalizzazione delle attività e allo smart working. Il processo civile telematico dovrebbe a breve diventare una realtà. Pensa che potrebbe essere applicato anche ai processi penali? Alcune fasi del processo penale potrebbero essere svolte da remoto?

La pandemia è stata l’occasione, come del resto per molte attività e servizi essenziali, per ripensare il modello dell’organizzazione giudiziaria con un tentativo di implementazione di tutti i sistemi informatici. Appare evidente però che una conversione da una cultura della “carta” ad una cultura “del digitale” comporta tempi di intervento e soprattutto quantità di risorse che devono essere immesse con programmazione costante e razionale. Non è pensabile, per esempio, trasformare o tentare di trasformare il processo penale tradizionale cartaceo nel processo penale telematico in pochi mesi e senza importanti investimenti sul piano dei sistemi, delle macchine, della formazione del personale. Taluni interventi, apprezzabili perché sempre finalizzati a portare meno utenti nei palazzi di giustizia, rischiano di creare però delle disfunzioni sul piano del funzionamento organizzativo della macchina giudiziaria piuttosto che migliorarla.

 

Se la sente di formulare alcune proposte in materia di giustizia digitale? 

Nel processo penale occorre pensare ad un modello che consenta la trattazione della vicenda da remoto in talune situazioni procedimentali diciamo marginali, incidentali, che non incidano sulla piena assunzione della prova soprattutto di natura dichiarativa. Potrebbero poi essere “remotizzate” tutta una serie di attività amministrative accessorie anche in un’ottica di effettivo contenimento dei costi e di miglioramento del servizio. Tutto ciò comporta però primariamente una riforma normativa del processo penale e quindi un forte investimento, non a singhiozzo ma secondo un piano omogeneo e progressivo, nella tecnologia giudiziaria, a cominciare dalle bande e dalla velocità di trasmissione delle notizie, che sconta ancora profonde lacune sul piano dell’esistenza o dell’efficienza delle strutture.

 

Tags: DigitalizzazioneGiustiziaFabioRoiaTribunaleMilano
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