La pandemia ha confermato che l’informazione di qualità è fondamentale per la democrazia. Se circolano notizie corrette e prodotte professionalmente, le persone sono messe in condizione di esercitare correttamente i propri diritti, non ultimo quello alla salute. Se invece dilaga l’infodemia, con una circolazione illimitata e caotica di notizie non vagliate e non verificate, il rischio concreto è la disinformazione di massa, con inevitabili ripercussioni sulla qualità della democrazia.
Ma produrre informazione di qualità costa. Ecco perché bisogna proteggere il diritto d’autore sulle opere creative di natura giornalistica e riequilibrare la filiera di produzione e distribuzione delle notizie. Due segnali degli ultimi giorni dimostrano che le istituzioni sono scese in campo per difendere chi sostiene costi cospicui per fornire ogni giorno alla collettività informazioni di interesse sociale.
La Procura di Bari ha chiuso 19 canali Telegram che mettevano a disposizione degli utenti in modalità gratuita i giornali in cambio di dati personali. 580.000 utenti iscritti a quei canali hanno fruito gratuitamente di moltissimi quotidiani, causando un danno di 670.000 euro al giorno per chi li produce.
Il secondo segnale arriva dal Governo che, per bocca del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’editoria, Andrea Martella, ha annunciato il recepimento, entro l’anno, della direttiva Ue sul copyright, approvata il 26 marzo 2019 dopo un braccio di ferro di tre anni tra gli Stati e i colossi del web.
La Francia, nell’ottobre scorso, è la prima ad averla recepita, peraltro all’unanimità. Subito dopo, però, ha dovuto fare i conti con l’indisponibilità di Google a stipulare contratti con gli editori per l’indicizzazione dei loro contenuti . Infatti, quella direttiva europea prevede all’art.15 l’obbligo, per i colossi del web, di siglare intese contrattuali con i produttori di contenuti, fondate sulla remunerazione degli articoli da indicizzare sulle proprie piattaforme. In Francia il colosso di Mountan View inizialmente ha rifiutato di sedersi al tavolo con gli editori, limitandosi a minacciarli di non condividere più i loro contenuti. Poi, a seguito dell’intervento dell’Antitrust francese, che ha ravvisato nella sua condotta una posizione dominante, ha dovuto fare marcia indietro e ora dovrà negoziare con i gruppi editoriali francesi il compenso da riconoscere loro per poter condividere i contenuti on line.
Ma la rivolta delle autorità e del mondo editoriale contro il saccheggio dei contenuti informativi da parte dei colossi del web non si ferma all’Europa. Proprio in questi giorni il governo australiano ha manifestato l’intenzione di intervenire per sollecitare l’Antitrust a obbligare i giganti del web a condividere i ricavi pubblicitari con gli editori di notizie. Il momento non è casuale, visto che la pandemia ha accresciuto il bisogno di notizie di qualità, ma ha nel contempo messo in ginocchio le aziende editoriali, sempre più impoverite a causa del crollo dei fatturati pubblicitari. Peraltro, in Australia il 98% delle ricerche su smartphone passa da Google, che al predominio tecnologico tende a sommare quello pubblicitario. Dunque, urge un riequilibrio.
Un po’ ovunque, quindi, i colossi digitali sono nell’occhio del ciclone e provano a correre ai ripari. In verità in Italia il clima sembra migliore. Google e gli altri Over the Top hanno dimostrato grande disponibilità, già molto prima dello scoppio della pandemia, nel voler supportare le iniziative degli editori. Di qui a fine anno, però, verrà recepito nel nostro ordinamento giuridico il testo della direttiva, e a quel punto tutto ciò che essi sin qui hanno fatto con buona volontà e spirito di condivisione, dovranno farlo per legge. Gli articoli 15 e 17 della direttiva sono molto chiari nel prevedere obblighi precisi per le piattaforme: accordi economici con gli editori per la remunerazione dei loro articoli da condividere; filtri anti-pirateria per proteggere le produzioni creative nei diversi ambiti.
Tutto questo basterà per rilanciare l’editoria cartacea e on line di tipo professionale, quella prodotta prevalentemente da giornalisti iscritti all’Ordine e assoggettati al vincolo deontologico di riportare la verità dei fatti in buona fede e dopo un’attenta verifica delle fonti? Dipenderà molto dalla maturità degli attori in campo. I motori di ricerca dovranno vivere l’attuazione della direttiva come un’opportunità di crescita per loro, anche sul piano reputazionale. Supportare le aziende editoriali rafforzerà la credibilità di piattaforme affermatesi negli anni in un clima di ostilità da parte del mondo giornalistico. Gli editori dovranno, dal canto loro, reinvestire nella formazione giornalistica e nel potenziamento tecnologico le risorse che riceveranno dai giganti della Rete. Se anche gli utenti sapranno apprezzare la qualità di alcuni contenuti e si dimostreranno pronti a pagare per riceverli, il cerchio si chiuderà e la battaglia per l’affermazione di un’informazione di qualità potrà concludersi con un successo corale e di prospettiva.