Shadow banning è un’espressione che viene utilizzata per indicare tutte quelle situazioni in cui uno o più contenuti digitali scompaiono da una pagina online, come conseguenza di un “ban”, ovvero di un deliberato gesto di rimozione dell’elemento da parte di un utente o piattaforma. Lo shadow banning è però una forma particolare di ban, più “subdola”, perché non vi è alcuna notifica che segnala esplicitamente che il contenuto è stato rimosso. Questo fa sì che per chiunque crei contenuti sul web, sia difficile accorgersi e avere delle prove di essere soggetto a questo tipo di ban.
Vi sono dei casi di shadow ban ancora più difficili da percepire. Infatti, questa dinamica è valida anche quando, sempre per decisione di agenti esterni, la visibilità del contenuto viene ridotta. Questo può valere anche per dei semplici pensieri, immagini o video pubblicati sui social network dai comuni utenti. Decisioni mirate possono far perdere visibilità e potere di condivisione a tutto ciò che compare quotidianamente in rete.
Il primo vantaggio dello shadow banning è che è una forma di censura nascosta. L’utente che viene bannato non sa di essere stato censurato, quindi non può contestare la decisione. Tutto ciò rende difficoltoso il contrasto a questo tipo di attività. Un altro vantaggio dello shadow banning è che è una forma di censura molto flessibile. I social media possono decidere di shadow bannare un utente per qualsiasi motivo, anche per ragioni politiche o ideologiche. Questo rende la pratica molto pericolosa per la libertà di parola, perché permette ai social media di silenziare le voci scomode.
Di fronte a questo fenomeno sicuramente problematico per il pluralismo in rete interviene il DSA.
Tra gli aspetti positivi di questo recente atto normativo figurano infatti una serie di decisioni volte a regolamentare maggiormente la pratica dello shadow banning, definito dal documento come “la restrizione della visibilità che può consistere nella retrocessione, nel posizionamento o nei sistemi di raccomandazione, come pure nella restrizione dell’accessibilità da parte di uno o più destinatari del servizio o nell’esclusione dell’utente da una comunità online senza che quest’ultimo ne sia consapevole”.
All’art.17 del documento, si precisa che vi è l’obbligo di motivare in maniera chiara e specifica l’imposizione di qualsiasi restrizione. Questo significa non solo esplicitare l’avvenuto shadow ban ma anche illustrare all’utente le ragioni dietro a questa decisione. Considerando questi obblighi, scompare il concetto stesso di shadow banning, poiché perde la sua caratteristica principale, quella di essere silenzioso. Al suo posto ci sarà il classico ban, che sarà però rilevabile e contestabile dall’utente.
In definitiva, l’introduzione del DSA rende la pratica dello shadow banning illecita, e fare ricorso a quest’ultima vuol dire scegliere di violare il DSA.
SF