In Italia si cominciò a parlare del giornalismo come prestazione intellettuale a carattere professionale già dal 1877, con la nascita dell’Associazione della Stampa Periodica Italiana, che distingueva tre categorie: coloro che esercitavano esclusivamente l’attività giornalistica; i pubblicisti, ai quali era concesso svolgere con il giornalismo anche altre professioni; i frequentatori, ovvero intellettuali e politici che con periodicità pubblicavano articoli sui quotidiani e sulla stampa. Nel 1908 avvenne il primo riconoscimento giuridico della professione e la nascita di un primo albo con la legge n. 406 del 9 luglio. Questa concedeva ai giornalisti, coloro che “fanno del giornalismo la professione abituale, unica e retribuita”, 8 scontrini ferroviari con la riduzione del 75% sulle tariffe. Inoltre, era prevista anche la costituzione di un apposito gruppo presso le Ferrovie dello Stato, che doveva compilare l’elenco dei direttori, dei redattori e dei corrispondenti di quotidiani ai quali concedere gli scontrini. L’albo venne poi recepito in sede contrattuale nel marzo del 1925 quando fra la Federazione della Stampa e gli editori fu firmato un accordo che prevedeva la costituzione in ciascuna Associazione regionale di un comitato paritetico giornalisti – editori con lo scopo di compilare l’albo locale. Assieme a questo, venne costituito un comitato d’appello per giudicare sui ricorsi per l’esclusione dagli albi locali. Nel contratto stipulato il 14 luglio del ’25 si affermava che dovevano considerarsi “giornalisti professionisti coloro che da almeno 18 mesi facciano del giornalismo la professione unica retribuita”. A dicembre del 1925 fu varata la legge n. 2307, recante «Disposizioni sulla stampa periodica», che istituiva l’Ordine dei Giornalisti avente le sue sedi nelle città dove esisteva la Corte d’Appello. In questo caso l’Ordine avrebbe dovuto formare gli albi locali e solo agli iscritti sarebbe stato consentito di esercitare la professione. La normativa non ebbe però alcun seguito.
Nel febbraio del 1928 un Regio decreto, ignorando la legge n.2307, dette norme soltanto per “l’istituzione dell’albo professionale dei giornalisti”. Ciò perché nel 1926 era stato istituito il “Sindacato unico di diritto pubblico” per tutte le categorie dei professionisti, con cui venivano mantenuti in vita gli ordini già esistenti, mentre gli altri più recenti, come l’Ordine dei Giornalisti, furono bloccati.
Il Regio decreto del ’28 prevedeva l’albo dei giornalisti suddiviso in tre distinti elenchi: i professionisti (coloro che da almeno 18 mesi esercitavano esclusivamente la professione giornalistica), i praticanti (coloro che pur esercitando esclusivamente la professione non avevano raggiunto l’anzianità di 18 mesi o i 21 anni di età) e i pubblicisti (coloro che esercitavano, oltre all’attività retribuita di giornalista, anche altre attività o altre professioni). Sotto il profilo della disciplina sostanziale, vi è una certa somiglianza con l’ordinamento professionale attuale (categorie di professionisti, praticanti e pubblicisti e i 18 mesi di pratica). Non si può ancora parlare di un organismo autogovernato dai giornalisti. L’albo era gestito da un comitato di 5 membri nominati dal Ministro di Grazia e Giustizia di concerto con il Ministero dell’Interno e delle Corporazioni. Contro le decisioni del Comitato dell’albo si poteva ricorrere ad una commissione superiore per la stampa composta da 10 membri (sempre commissione nominata con decreto su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia di concerto anche qui con il Ministero dell’Interno e delle Corporazioni) e 5 membri su 10 erano scelti fra i giornalisti designati dal Direttorio del Sindacato Nazionale Fascista.
Con la caduta del fascismo rinacquero gli organismi della categoria basati sulla libera associazione. Per la prima volta venne ricostituita la Federazione della Stampa il 26 luglio 1943 presso il Circolo della Stampa di Palazzo Marignoli a Roma. Il primo problema per il Sindacato fu l’albo. Si trovò a scegliere se abolire tout court la legislazione fascista o disciplinare ex novo la professione o modificare la legislazione del 1928 con alcuni correttivi. Fu scelta quest’ultima via e il Sindacato ottenne dal governo, allora presieduto da un ex Presidente della Federazione della Stampa stessa, l’onorevole Ivanoe Bonomi, l’emanazione di un decreto che sostituiva i Comitati interregionali per l’albo e la Commissione Superiore per la stampa con una Commissione Unica, che aveva sede a Roma e aveva il compito di tenuta degli 11 albi regionali e interregionali e la disciplina degli iscritti (D.L.L. 23/10/1944).
Questa Commissione Unica avrebbe dovuto avere un carattere provvisorio e invece rimase in vita fino a quando nacque l’ordinamento professionale nel 1963. Essa, però, costituì una prima formula di autogoverno della categoria in quanto i suoi componenti, seppur nominati dal Ministero di Grazia e Giustizia, venivano tutti designati dal Sindacato dei giornalisti italiani. Anche se la Commissione aveva carattere nazionale si organizzò perifericamente istituendo presso ciascuno degli 11 albi regionali sub Commissioni o Comitati delegati, che avevano il compito di istruire le istanze di iscrizione. La Commissione Unica assicurava un doppio esame di merito di ciascun iscritto, anche se la deliberazione definitiva apparteneva alla sede nazionale.
Nel 1959 il Ministro di Grazia e Giustizia, l’onorevole Gonella, dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri, presentò alla Camera il disegno di legge n. 1563 sull’ordinamento della professione giornalistica. Grazie alle ripetute sollecitazioni della Federazione della Stampa e ai documenti approvati al Congresso di Sorrento del ’62, il disegno di legge fu approvato all’unanimità e con il voto favorevole di tutti i gruppi della Camera in sede legislativa il 12 dicembre 1962. Cinque giorni dopo fu trasmesso alla presidenza del Senato e la Commissione del Senato lo esaminò. In una sola seduta, il 24 gennaio 1963, ottenne l’approvazione definitiva.
La legge n.69, che istituiva l’ordine dei giornalisti, entrò in vigore il 3 febbraio 1963. Guido Gonella fu il primo presidente dell’Ordine dei giornalisti. Ancora oggi tale legge disciplina l’esercizio della professione giornalistica. Riconosce l’attività giornalistica come attività intellettuale a carattere professionale, caratterizzata dall’elemento di “creatività” che fa del giornalista non un impiegato o un operatore esecutivo, bensì un professionista. La legge riconosce la rilevanza sociale del giornalismo e impone, a chi lo esercita in forma professionale, di iscriversi obbligatoriamente in un albo. Inoltre, l’autogoverno della categoria e la gestione dell’albo sono affidati a giornalisti eletti democraticamente dalla categoria. L’istituzione dell’Ordine è anche garanzia per la pubblica opinione e per i lettori, destinatari dell’informazione.
La legge del 1963 è stata attuata dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1965, n. 115. Hanno il diritto di farne parte soltanto i giornalisti professionisti e i pubblicisti regolarmente iscritti nei rispettivi elenchi dell’albo.