“Basta con i volti disperati dei bambini in televisione, sui giornali e sui social network. Evitiamo di portare, almeno i più piccoli, in guerra una seconda volta, nella dimensione digitale” è il monito del Garante per la protezione dei dati personali.
L’immagine del bambino, come qualsiasi dato personale che lo riguardi in realtà, dovrebbe entrare nel sistema mediatico solo quando ciò sia indispensabile o, ancora meglio, solo quando la sua pubblicazione sia nell’interesse del bambino.
Perché, altrimenti, quelle fotografie e quei dati, nella dimensione digitale, perseguiteranno quei bambini per sempre, e, magari, in molti casi li esporranno a conseguenze discriminatorie di carattere sociale, culturale, religioso o politico di ogni genere, conseguenze, forse, oggi, in molti casi persino imprevedibili. E, certamente, quelle immagini finiranno in pasto ad algoritmi di ogni genere per le ragioni più diverse.
I volti e i corpi dei minori sono utilizzati come strumento di propaganda da una parte e dall’altra per recapitare messaggi politici in maniera più efficace al cuore, alla testa, alla coscienza delle persone e influire sulla formazione dell’opinione pubblica globale in una direzione o in quella opposta.
Il Garante richiama quindi tutti i mezzi di comunicazione di massa, pur nell’indispensabile lavoro di testimonianza dei tragici effetti della guerra, ad una maggior tutela dei minori.