Le interfacce neurali determinano l’esigenza di individuare quelli che vengono detti neurodiritti. Essi nascono dall’idea di proteggere quelli umani nell’ambito della sfera mentale e neurocognitiva dell’individuo dato che, essendo coinvolto il cervello, le sue funzionalità ne permettono l’inquadramento “come esseri senzienti dotati di una propria identità, dunque definibili come persone”.
Le interfacce neurali, conosciute anche come interfacce “cervello-macchina” o “cervello-computer”, sono un mezzo di comunicazione che “lega” il cervello dell’uomo ad un determinato dispositivo “artificiale”. Tali interfacce hanno già aiutato alcuni ricercatori nel controllo delle crisi epilettiche e nella riduzione dei tremori nei pazienti affetti dal morbo di Parkinson. Una soluzione che, nel prossimo futuro, affronterà applicazioni ancora più complesse, come il ripristino del linguaggio e la regolazione dell’umore nei pazienti interessati.
Nel luglio dell’anno scorso UCSF Weill Institute for Neurosciences della University of California di San Francisco ha condotto uno studio innovativo, finanziato in parte dal colosso social Meta, che ha tradotto in parole visibili su uno schermo i segnali cerebrali di un uomo affetto da paralisi.
L’obiettivo dell’impiego di interfacce neurali è di decifrare l’attività cerebrale umana, alla base di comportamenti “complessi” come il linguaggio e le emozioni, nel tentativo di sviluppare terapie che possano aiutare persone che non riescono a parlare o che soffrono di condizioni neuropsichiatriche come depressione e ansia.
E tutto ciò, ovviamente, non è esente da rischi, in quanto vi può essere, ad esempio, una potenziale “erosione” della privacy (intesa proprio come “diritto ad essere lasciato solo” e, quindi, a godere dell’intima sfera privata), dato che le interfacce neurali danno accesso “diretto” al cervello e ai processi che sono alla base dei pensieri dell’uomo. Il linguaggio, peraltro e di per sé, è davvero “speciale”; inoltre, è sempre molto stimolante cercare di capire come il cervello umano elabora un comportamento così unico.
Bisogna tuttavia considerare la facilità o se si vuole l’involontarietà con la quale tali dati vengono registrati. Se da una parte il processo di delega è fisicamente fissato, è ragionevole supporre che una delegazione volontaria dei dati non è sempre così nitida. Da qui, allora, è chiaro che una misura applicativa urgente risiede in strumenti che permettano di assicurare una modalità “offline”.