Come abbiamo avuto modo di vedere nel corso di questi mesi, l’informazione e i media si sono occupati principalmente, nelle loro prime pagine, di manovre economiche, ospedali saturi, trasmissibilità della malattia, tralasciando gran parte della questione sociale, ossia: come, questa pandemia, ha sconvolto la vita di ogni persona? Ma soprattutto, una categoria delicata e che necessiterebbe di maggior tutela come i bambini, in che modo ha vissuto una situazione tanto traumatica?
Sui social, nei video della rete e attraverso qualche spezzone in televisione, abbiamo visto quanto i bambini, indicativamente tra i 4 e 12 anni, abbiano patito il social distancing, la chiusura delle scuole e tutte le attività che fino a poco tempo fa erano completamente normali, come una sana sudata al parco con un pallone e una porta improvvisata.
I bambini dall’ingresso nella scuola dell’infanzia iniziano un processo denominato socializzazione secondaria, cioè l’apprendimento, attraverso un contesto extra-familiare, di gestione di relazioni interpersonali, comportamenti e strategie comunicative con il gruppo di pari, in poche parole con gli amici.
Privare i bambini di una parte di questo processo socio-cognitivo, per un lungo periodo, può essere estremamente dannoso: la mancata competenza nel sapersi relazionare coi pari produrrebbe in loro insicurezza, tendenza alla solitudine e un pericoloso rapporto simbiotico con la tecnologia, problema che ad oggi risulta ampiamente presente nelle nuove generazioni.
Abbiamo deciso di intervistare qualche bambino nel parco di Porta Venezia a Milano, senza fare domande troppo mirate, per renderci conto del loro stato d’animo attuale.
Paolo, 11 anni: << Questa cosa del coronavirus è diventata noiosa, però per tutti, non solo per me. All’inizio era bello perché stavamo a casa e ci svegliavamo tardi anche con la scuola in Dad. Poi però sono arrivate le giornate belle e non potevamo uscire a giocare. Ogni tanto la mamma mi faceva scendere in cortile a giocare, ma da solo non mi divertivo tanto. Adesso qualche volta nel mio cortile vengono dei miei amici a giocare e mi sento emozionato >>.
Alessandro, 12 anni, si mostra preoccupato per la famiglia, raccontandoci a cuore aperto di come sia allarmato, soprattutto per i nonni: <<Io ho un fratellino piccolo e i miei nonni che sono in pericolo. Ho sempre paura quando vado a casa loro a mangiare, di attaccargli il Covid e di essere io il colpevole. Infatti quando torno a casa sono preoccupato, ma dopo un po’ mi passa. Per il mio fratellino ho paura perché è tanto piccolo, ancora va nel passeggino, e non voglio che va in ospedale, perché andrebbe con lui anche la mamma, e io non voglio>>.
Giulia, 11 anni, tocca il tema mascherina, e sorprendentemente ci racconta di quanto sia stata per lei una novità positiva: <<Io non capisco perché le persone grandi non mettono la mascherina! Io penso che è utilissima perché così non ci ammaliamo, e poi se compri quelle un po’ decorate tipo coi glitter, è anche alla moda. Io e le mie amiche ne abbiamo un sacco, ma l’unica cosa che un po’ mi da fastidio è quando corro perché sento che mi manca un po’ l’aria>>.
Ciò che è inoltre emerso dalla chiacchierata con questi bambini è stato il disagio in materia di scuola.
Alcuni di loro ci hanno raccontato quanto sia difficile fare didattica a distanza, sia perché “è difficile stare concentrati a casa, ci sono tante cose che ci distraggono come il cellulare, la televisione e il frigorifero”, sia perché sentono la mancanza dei compagni di classe.
Le istituzioni hanno cercato di gestire al meglio la situazione disastrosa della pandemia, ma le giovani generazioni saranno coloro che nel lungo periodo accuseranno il colpo più duro per i tanti mesi di solitudine e privazioni.