Maria Carla Gatto è Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano dall’aprile 2017, dopo aver ricoperto il medesimo ruolo presso il Tribunale per i Minorenni di Brescia. Per molti anni è stata referente della formazione della magistratura italiana, anche quale coordinatrice del settore civile ed interdisciplinare del Comitato Scientifico del Consiglio Superiore della Magistratura. Curatore di pubblicazioni scientifiche, ha maturato diverse esperienze didattiche collaborando con molteplici Università Italiane.
L’intervista si focalizza sui cambiamenti che il COVID-19 ha portato nel settore della giustizia minorile, sia sul numero e la tipologia degli interventi giudiziari che sulle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Silvia Scotto di Santolo: Il Covid-19 ha cambiato le abitudini e il modo di lavorare incrementando lo smart-working. Il Tribunale per i Minorenni di Milano come ha fronteggiato e come si è adattato a questa nuova formula di lavoro?
Maria Carla Gatto: La giustizia minorile nonostante il COVID-19 non si è potuta fermare perché ha dovuto rispondere, in misura crescente, alle esigenze di tutela dei minori, che si sono trovati in situazioni di estrema difficoltà.
Si è posta quindi la necessità di conciliare l’esigenza di non esporre a pericolo la salute degli utenti interni ed esterni del servizio della giustizia con quella di assicurare la tutela dei diritti dei minori. Questi ultimi, costituendo la fascia più debole della società, devono infatti essere protetti da ogni situazione di grave pregiudizio per la loro crescita psico-fisica, a maggior ragione nel periodo di emergenza.
Come dicevo, proprio in questo periodo le difficoltà si sono aggravate in quanto i ragazzi sono stati costretti a vivere, spesso in spazi ristretti, confrontandosi con problematiche familiari di rilevante entità e sono rimasti privi del supporto della scuola, che è un presidio non solo educativo, ma anche sociale.
La complessità dell’istruttoria dei vari procedimenti è stata determinata dalla consapevolezza che nessun progetto volto a migliorare la risposta alle esigenze del minore può avere alcuna prospettiva di successo se non vi è un impegno sinergico tra tutti gli attori coinvolti nella sua realizzazione e che, quindi, è difficile derogare all’oralità e al rapporto diretto giudice-parti-difensori, la cui contestuale presenza è spesso irrinunciabile.
Per tali ragioni il Tribunale per i Minorenni ha sottoscritto dei protocolli d’intesa con l’Avvocatura del distretto, rappresentata dai Presidenti dei nove Ordini degli Avvocati e dalle Associazioni dell’Avvocatura specializzata per i minori e per la famiglia, formalizzando delle linee guida sulla trattazione delle udienze civili e delle udienze penali da remoto, il cui vigore è collegato alla permanenza del periodo emergenziale.
Inoltre, con riferimento ai singoli procedimenti, sono state operate delle scelte sulla possibilità di ascoltare i soggetti coinvolti da remoto rispetto a quei casi in cui appariva necessaria la presenza. Per esempio, si è deciso che l’ascolto del minore, che è un adempimento di estrema delicatezza, venisse fatto solo laddove fosse assolutamente indispensabile, assicurando comunque la presenza del minore presso lo studio del suo curatore/difensore ovvero presso i servizi sociali o la comunità che lo ospitava.
Tale modalità di collegamento delle parti da remoto difficilmente è stata utilizzata nei procedimenti per la dichiarazione di adottabilità dei minori, tenuto conto dell’estrema delicatezza degli interessi in gioco.
Particolarmente utile si è rivelato il collegamento da remoto per i procedimenti di sottrazione internazionale dei minori, ovvero per quei casi in cui i figli di soggetti che vivono all’estero vengono portati illegittimamente in Italia dal genitore che li allontana dalla residenza abituale. Infatti la possibilità di realizzare collegamenti on line con genitori che vivono in paesi lontani, quali Brasile, Danimarca o Texas, ha consentito la celebrazione delle relative udienze che, altrimenti, permanendo la pandemia, sarebbe stato impossibile tenere, assicurando, al tempo stesso, il rispetto del contradditorio e del diritto di difesa.
Inoltre, nel rispetto delle cautele imposte dal COVID, siamo riusciti a proseguire gli abbinamenti dei bambini dichiarati adottabili alle coppie aspiranti adottive: dopo un primo colloquio effettuato da remoto, che ha consentito di operare un’iniziale selezione, le coppie prescelte, con tutte le accortezze sanitarie, hanno sostenuto un colloquio in presenza, per permettere al Giudice onorario delegato di approfondire le loro caratteristiche personali e famigliari e l’adeguatezza a rispondere ai bisogni del bambino.
Per quanto riguarda il settore penale, invece, sono stati sentiti da remoto, sempre attraverso udienze sulla piattaforma Teams o Skype for Business, i soggetti detenuti, sia in sede di udienza di convalida di arresto o fermo che per procedere all’interrogatorio di garanzia.
Questa modalità è stata particolarmente importante per ovviare alla chiusura del Centro di Prima Accoglienza, sito in Milano presso il Beccaria, determinata dalla necessità di adibire i relativi locali all’ospitalità di giovani detenuti per un’eventuale quarantena imposta dal COVID, ed ha permesso così di evitare il trasferimento degli arrestati dal CPA di Torino, che è rimasto operativo per entrambi i distretti.
Le nuove modalità di celebrazione delle udienze civili e penali tramite collegamenti da remoto potrebbero, sull’accordo delle parti, continuare a costituire una risorsa per semplificare l’attività istruttoria in quei casi in cui non è indispensabile l’audizione in presenza.
Silvia Scotto di Santolo: Il bullismo e il cyberbullismo sono indicatori di un grave malessere sociale che colpisce particolarmente le fasce più giovanili. Quali sono gli strumenti che utilizza il Tribunale dei minori per contrastare e combattere questo grave fenomeno?
Maria Carla Gatto: Il fenomeno non può essere contrastato attraverso l’esclusivo ricorso allo strumento penale. Il modo migliore per fronteggiarlo è l’azione di prevenzione, prevista dalla legge n.71, che ha il merito di ritenere il cyberbullismo una priorità per le politiche educative, rendendo ineludibile il dialogo tra diverse istituzioni. Occorre infatti creare una rete protettiva e responsabilizzante che prevenga o recuperi le degenerazioni di un uso scorretto di internet. Credo sia necessario che tali tipi di interventi vengano maggiormente strutturati in sede centrale e che siano coordinati tra loro per evitare una frammentazione e un dispendio di risorse. Infatti demandare soltanto la promozione di progetti per il contrasto del fenomeno del bullismo alle singole istituzioni scolastiche, attraverso il coinvolgimento di associazioni presenti sul territorio, non assicura un’azione efficace e coordinata di prevenzione.
Certamente importante è la scelta di individuare l’istituzione scolastica come agenzia privilegiata per la possibilità di intercettare il mondo dei giovani, con l’obiettivo di formare le nuove generazioni alla cittadinanza digitale e ad un corretto esercizio di diritti e doveri nello spazio di azione e di espressione proprio del mondo del web. Questo perché gli episodi di cyberbullismo vedono coinvolti il più delle volte i minori, non solo come vittime, ma anche come autori.
Ritengo, però, che alla famiglia debba essere restituito il ruolo di agenzia di educazione primaria ed ai genitori quello di parte attiva per puntare sul rafforzamento delle interazioni personali, per orientare i figli ad un corretto uso delle tecnologie e per presidiare tale uso.
Quindi, è fondamentale un intervento sinergico della scuola e delle famiglie, con il necessario coinvolgimento dei minori. I genitori devono svolgere lo specifico ruolo educativo con la loro presenza, favorendo la consapevolezza nei ragazzi della rilevanza penale di certe condotte, l’acquisizione dei valori di rispetto dell’altro e, in questo specifico settore, per incentivare l’uso consapevole degli strumenti elettronici. I genitori, cioè, devono essere richiamati alle loro responsabilità, naturalmente considerando il gap intergenerazionale esistente tra adulti e i nativi digitali.
Silvia Scotto di Santolo: Sono previsti interventi rieducativi che riescano a garantire il diritto per il minore di vivere nella propria famiglia?
Maria Carla Gatto: Nel caso in cui entrambi i genitori manifestino carenze nell’assicurare al figlio un contesto di vita adeguato a soddisfare le sue esigenze materiali, morali e psicologiche, il Tribunale conferisce, con decreto, incarico agli Enti locali di attuare interventi di controllo e di sostegno in favore del minore e dei suoi familiari.
La tipologia degli interventi viene specificata ed adeguata alle necessità che il caso di specie impone; sono volti ad ovviare alla condizione di disagio in cui versa il minore o a tutelarlo dalla situazione di pregiudizio, a supplire alle carenze del nucleo familiare o a favorirne il recupero delle risorse. Tali interventi si articolano attraverso forme di monitoraggio, di assistenza domiciliare, di controllo del rispetto dell’obbligo scolastico, di reperimento di una famiglia di appoggio, di inserimento del minore in strutture semiconvittuali, di controllo del rispetto di prescrizioni da parte dei genitori (quali la frequentazione del SERT, del NOA ovvero dei centri psicosociali).
Qualora i genitori non si siano dimostrati disponibili a collaborare all’attuazione del progetto di sostegno predisposto nell’interesse del figlio o, nonostante i supporti, continuino a manifestarsi incapaci di svolgere con sufficiente consapevolezza e responsabilità il proprio ruolo educativo ed affettivo, il figlio verrà affidato al servizio sociale che, a seconda dei casi e della valutata inidoneità genitoriale, sarà tenuto a collocare il minore presso il genitore che il Tribunale ha ritenuto maggiormente in grado di rispondere alle sue esigenze di crescita. In caso di inidoneità di entrambi e di assenza di altri familiari capaci di prendersi cura del minore, quest’ultimo andrà in affidamento eterofamiliare o in una comunità educativa.
I descritti interventi hanno il comune obiettivo di assicurare alla persona di minore età il diritto di crescere nella propria famiglia, come espressamente riconosciuto dall’art. 315 bis cod. civ., prevedendo il suo allontanamento dalla stessa solo come extrema ratio.
Silvia Scotto di Santolo: Secondo la sua visione personale, il mondo della giustizia potrà adattarsi totalmente al lavoro da remoto oppure è fondamentale il contatto one-to-one?
Maria Carla Gatto: Nell’ambito della giustizia minorile non è possibile abdicare totalmente al digitale. Basta pensare al delicato compito dell’ascolto del minore, che deve essere scevro da condizionamenti e da influenze da parte di quei soggetti che gli sono vicini. Inoltre il sistema mediato attraverso il video può creare una eventuale barriera ai danni della spontaneità della dichiarazione e non consentire di analizzare il suo comportamento e i suoi atteggiamenti, indicativi di emozioni, di tentennamenti e di reazioni.
Certamente è possibile fare tesoro di questa esperienza introdotta con l’emergenza cogliendo le opportunità del nuovo strumento digitale, laddove possibile, in quanto lo stesso assicura maggiore celerità, risparmio di tempo e di risorse economiche. Occorre cioè avere la capacità di trarre, anche dalle situazioni più critiche, quelle soluzioni operative che possono rendere più efficiente la risposta giudiziaria.
Ringrazio ancora la Presidente del Tribunale dei Minori di Milano Maria Carla Gatto, per la sua disponibilità e per aver condiviso con me la sua esperienza.
Mi piace sottolineare che è stata la prima intervista in presenza, dopo mesi di lock-down: finalmente si intravede la tanto attesa normalità.