La Corte di Giustizia si è pronunciata il 13 maggio 2014 con la sentenza n. 317 in seguito al ricorso di un cittadino spagnolo che aveva richiesto la rimozione, prima al gestore del sito e poi a Google, di alcuni dati personali pubblicati in poche righe del giornale “La Vanguardia Editiones SL” e da lui ritenuti non più attuali.
L’Agencia Espano͂la de Proteccion de Datos (AEPD), cioè l’equivalente spagnolo del nostro Garante per la protezione dei dati personali, aveva ordinato a Google di procedere alla rimozione di questi dati contestati dal ricorrente ma Google si è rifiutato di procedere alla cancellazione perché ha ritenuto che la richiesta dell’AEPD andasse a ledere la libertà di espressione dei gestori di siti internet.
Il ricorrente chiedeva che fosse ordinato al quotidiano di sopprimere o modificare le pagine suddette affinché i suoi dati personali non vi comparissero più e che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di eliminare o di occultare i suoi dati personali, in modo che cessassero di comparire tra i risultati di ricerca e non figurassero più nei link di La Vanguardia.
La Corte di Giustizia, per la prima volta, con questa sentenza ha riconosciuto il diritto all’oblio in base a quanto contenuto nella Direttiva 95/46/CE in materia di trattamento dei dati personali. Il diritto all’oblio è il diritto di un soggetto a chiedere la rimozione di informazioni o dati che non sono più attuali, o necessari per le finalità per le quali erano stati raccolti e trattati oppure perché l’interessato ha ritirato il consenso.
L’AEPD ha affermato che i gestori dei motori di ricerca sono tenuti a rispettare la normativa in materia di protezione dei dati in quanto essi pongono in essere un trattamento di dati e sono i responsabili del trattamento e “agiscono come intermediari della società dell’informazione”. Google, ovvero il gestore del motore di ricerca, è stato considerato titolare del trattamento dei dati e quindi ritenuto responsabile, in quanto aveva l’obbligo di verificare che determinate pagine riconducibili a fatti particolari che non erano più attuali non fossero “indicizzate”.
Dunque, la Corte di Giustizia ha ritenuto meritevole di tutela la richiesta avanzata da un soggetto di non vedere “indicizzato” tra gli elenchi dei risultati delle ricerche le pagine che presentano contenuti riguardanti la sua persona e che quindi possono arrecargli pregiudizio nonostante sia trascorso del tempo dalla pubblicazione della notizia.
C.T.