È entrata in vigore in Giappone una riforma del codice penale che introduce pene fino a un anno di carcere e multe più severe per gli insulti online, nel tentativo di arginare il cyberbullismo. La revisione innalza la pena massima per l’insulto online da meno di 10.000 yen (circa 70 euro) a 300.000 yen (2.200 euro) e introduce una pena detentiva effettiva fino a un anno dai 30 giorni previsti fino ad ora. Anche il termine di prescrizione per l’insulto è stato rivisto a tre anni, rispetto a un anno.
Ampio il dibattito che ha preceduto l’approvazione della modifica, con i critici, tra cui il principale partito di opposizione, che sostenevano che la legge potrebbe essere usata per soffocare le critiche legittime a politici o funzionari.
La legge è stata infine approvata il 13 giugno dopo che le forze politiche hanno accettato di aggiungere una disposizione supplementare che prevede una revisione entro tre anni dalla promulgazione per determinare se la legge limita la libertà di espressione.
Per il ministro della Giustizia Yoshihisa Furukawa “è importante sradicare atti vili come gli insulti che possono portare alla morte di qualcuno”. Furukawa, che ha dichiarato che l’obiettivo non è quello di limitare la libertà di parola, ha affermato che la revisione dimostra che il cyberbullismo “è un crimine che deve essere affrontato con severità e agirà “come deterrente” per le campagne di odio.
Il problema è che non si capisce bene che cosa si intenda per “insulto online”. Secondo quanto riporta The Verge, la legge dice che per insulto occorre intendere l’umiliazione di qualcuno senza attribuire un fatto specifico su quella persona, al contrario della diffamazione, che invece prevede l’attribuzione di una falsa condizione specifica. Ma per il ministro della Giustizia nipponico, Yoshihisa Furukawa, non c’è ragione di preoccuparsi delle conseguenze del nuovo provvedimento: la nuova legge farà da deterrente per un crimine, il cyberbullismo, che “dev’essere severamente affrontato”.
Questo inasprimento nasce da una storia molto triste, quella di Hana Kimura, una nota wrestler e personaggio televisivo che si è uccisa a soli 22 anni nel 2020. Responsabile dell’istigazione un gruppo di persone che la bersagliava in ogni modo e su ogni canale social: il leader di questo drappello di hater se la cavò appunto con una multa da 70 euro per i suoi gesti, le sue parole e le sue ingiurie alla giovanissima star. Da quel momento, la madre della ragazza, anche lei ex wrestler professionista, ha lanciato attraverso la sua no profit Remember Hana una campagna per modificare le leggi e renderle più severe nei confronti della diffamazione e delle ingiurie attraverso canali digitali, come accade in molti Paesi del mondo, fra cui il Regno Unito.